domenica 14 dicembre 2008

Estetica della crisi o crisi dell'estetica

Nonostante tutte le catastrofi naturali ed innaturali quotidiane connesse alla crisi del capitalismo mi sembrerebbe troppo semplicistico parlare di Apocalisse per riferirsi allo scenario politico ed estetico nel quale ci troviamo. Che poi Apocalisse che significa? Questa "rivelazione dall'alto", questa rivelazione che si presume venga da un Dio che sta in alto, non era in realtà che il trattato di una setta religiosa scritto in codice per non farsi scoprire dal potere costituito, all'epoca l'Impero Romano, di cui appunto si auspicava la sconfitta. Sconfitta effettivfamente arrivata. Quindi potremmo parlare di un testo politico abbastanza all'avanguardia per i tempi, di cui però si è smarrito completamente il significato originario, arrivando alla modifica per cui oggi parliamo di apocalisse uguale fine del mondo uguale collasso del sistema in cui viviamo. Quindi potremmo collocarci su di un binario in cui i segnali di crisi estrema in cui oggi ci ritroviamo, ambientale, economica, culturale, demografica, politica ecc. trovano nel riscontro dell'estetica del declino, della fine, del collasso il segno su cui surfare e produrre significato. In questo modo, però, è come se la famosa setta religiosa dell'epoca romana, chiamata dei "cristiani" dai suoi detrattori, non avesse elaborato alcun codice alternativo e segreto per produrre un cambiamento di senso ed una prospettiva rivoluzionaria per i suoi seguaci. Niente di più facile, dunque, che accelerare con il movimento estetico l'omologa entropia economica prodotta dal capitalismo, dal delirio del suo codice della produzione per il profitto. Nella discussione sulla violenza nei movimenti di contestazione si proclamava l'esigenza di non produrre questo "doppio" di un potere a sua volta violento all'ennesima potenza, cercando una via totalmente altra per non esserne poi risucchiati e modificati nel corso della lotta. Questa intuizione è vera da un certo punto di vista, non so, però, se proprio nel suo specifico richiamo all'assenza di forza e di violenza contro la barbarie. Piuttosto, in un ragionamento più specificamente politico, dovremmo ricorrere a tutte le intuizioni di un sobrio materialismo oserei dire illuminista per ritessere il filo della sovversione. L'unica possibilità che abbiamo per sopravvivere alla crisi è un nuovo sistema di produzione. Non possiamo imbarcarci in un reset dei percorsi organizzativi e degli strumenti che la classe degli sfruttati (quando ha potuto operare in suo favore) ci ha messo a disposizione. Non ci sarà, tanto per intenderci, nessun Angelo Nuovo che ricomporrà l'incanto e risalirà nella storia delle vittime. Saranno i vivi da soli a giocare la parita. Per questo non potremo che rinominare la parola Socialismo in antitesi alla barbarie quotidiana, senza però salti logici e linguistici, senza nessun balzo di tigre e mossa di cavallo. Le due tradizioni principali della sinistra del nostro paese, quella togliattiana e quella operaista, hanno entrambe fallito nella loro strategia. La prima, per eccessivo uso della dialettica hegeliana, si è trasformata nel suo rovescio, cioè in organizzazione del dominio delle elites capitalistiche (nelle banche Unipol e nei bombardamenti su Belgrado). La seconda non ha mai fatto completamente i conti con la fatica organizzativa dei movimenti di lotta e per postulare il rifiuto della delega e della democrazia rappresentativa non ha prodotto che una gestione verticista, personalista ed antidemocratica dei conflitti. C'è infine molta meno democrazia in un Centro sociale occupato ed autogestito che in un qualsiasi partito politico che sia. Questi tempi feroci in cui dalle crisi congiunturali dell'economia risalta tutta la fallimentare struttura del capitalismo, dalla recessione, alla guerra alla devastazione ambientale, tanto più la velocità impazzita del semiocapitalismo ci conduce verso una inafferrabile geografia del dominio, tanto più dovremmo essere capaci, umilmente, di ricondurci negli sporchi anfratti della storia, nei lunghi, tortuosi, noiosi e fumosi sotterranei della razionalità politica. Uno sforzo simile a quello che pochi coraggiosi, nella notte del pieno novecento delle guerre mondiali e degli stermini di massa, fecero fondando la IV Internazionale, sfuggendo dalla tenaglia della doppia repressione dei capitalisti e dei sicari di Mosca al soldo di Stalin. Con un gesto coraggioso seppero rifondare da immani tragedie un percorso dignitoso e lungimirante alle classi oppresse, senza settarismi e cedimenti al nemico, senza buttare il bambino insieme all'acqua sporca e senza fingere che la rivoluzione fosse dietro l'angolo, prima o al posto dell'apocalisse.

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