mercoledì 31 dicembre 2008

Discorso di fine anno

Innanzitutto in questo discorso intendo battere il record del numero di volte della parola Straordinario pronunciata in poche righe da un salernitano. Straordinario. Straordinario. Straordinario. Straordinario. Straordinario. Straordinario. Straordinario. Sette volte, il secondo posto è assicurato, che per il primo non c'è sfida. Un pensiero al 2008, un anno veramente Straordinario (otto!). Se Guy Debrod diceva che lo spettacolo è il capitale ad un tale grado di accumulazione da divenire immagine, allora l'immaginazione ha veramente conquistato il potere ed Hollywood ha finalmente eletto il suo presidente planetario. In assenza di Denzel Washington, impegnato in un altro film, le banche hanno finanziato con i loro miliardi di debiti un altro attore nero che si impegnasse a risarcirle immediatamente di tutto quello che hanno perso nella loro colossale truffa. Per il resto non c'è problema, pagheremo caro, pagheremo tutto, la crisi di sovrapproduzione sarà regolata da un ulteriore sterminio di vite umane senza precedenti : la Merce produce sacrifici. Nel frattempo, in questo ottuso paesello governato dalle Veline nessuno si è accorto dell'ennesima violazione della Costituzione, delle covnezioni ONU, dei Diritti Umani ecc. Il Ministro dell'Interno ha stabilito illegalmente di rimpatriare ogni persona sbarcata in Italia senza controllare la richiesta di Diritto di Asilo. Vige il diritto di guerra, ma tutto tace. Così come quel piccolo staterello razzista che continua la sua pulizia etnica e la sua guerra asimmetrica. E' facile sparare ai bambini e bombardare gli ospedali, quando si è protetti dalla maggiore potenza mondiale. E' da vigliacchi. Poi si lamentano che l'Iran si può fare la sua bomba atomica, mentre loro ne hanno a migliaia. Poi si lamentano che quelli si incazzano e fanno i "terroristi". Sono solo dei dilettanti del terrorismo a confronto di Usa-Israele. Il 2009 sarà un anno straordinario (nove!), me lo sento, con queste premesse. Auguro a tutti di sclerare definitivamente e di uscire dal torpore mediatico e dal rincoglionimento obbligatorio :


L'ingiustizia oggi cammina con passo sicuro.

Gli oppressori si fondano su diecimila anni.

La violenza garantisce: Com'è, così resterà.

Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda

e sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio.

Ma fra gli oppressi molti dicono ora:

quel che vogliamo, non verrà mai.

Chi ancora è vivo non dica: mai!

Quel che è sicuro non è sicuro.

Com'è, così non resterà.

Quando chi comanda avrà parlato,

parleranno i comandati.

Chi osa dire: mai?

A chi si deve, se dura l'oppressione? A noi.

A chi si deve, se sarà spezzata? Sempre a noi.

Chi viene abbattuto, si alzi!

Chi è perduto, combatta!

Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare?

Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani

e il mai diventa: oggi!

BERTOLT BRECHT "Lode della dialettica"

lunedì 29 dicembre 2008

Pop Irno - 3

Claudio Prandini entra furtivamente nella tabaccheria, guardandosi attorno, quasi stesse compiendo una rapina. Compra una confezione di sigari toscani e se la mette in tasca, nella tasca interna della giacca, ben nascosti. Si riaggrega al gruppo che cammina sul lungomare.


- Uè, Prandini. Dove eri finito?

- No, niente, mi ero fermato all'edicola.


Prandini non vuole farsi notare mentre fuma né tanto meno quando compra i suoi amati toscani. Meglio che non lo veda nessuno, tra i suoi colleghi del gruppo in giacca e cravatta che scodinzola dietro di Lui, la Belva. La Belva non tollera che i suoi uomini fumino, soprattutto i sigari. Almeno davanti a lui devono essere un gruppo di cavalieri incorruttibili, senza macchia e senza paura, fedeli ed obbedienti al volere del loro unico signore e padrone. Il signore e padrone incontrastato di tutta la città.

Il gruppo entra nel cancello principale del palazzo del municipio ed i vigili vestiti da parata si scansano lasciando passare con un goffo saluto pseudo militare. Nell'ascensore c'è tensione. Oggi la belva ha chiamato tutti i suoi fedelissimi operativi a rapporto per parlare di una questione urgente.

La riunione inizia con il solito ringhioso sospiro della Belva, quello che fa prima di aggredire il proprio interlocutore.

- Amici, qua dobbiamo fare qualcosa per sbloccare questa situazione. L'ultimo voto in consiglio comunale è passato in maniera troppo risicata. Ci facciamo votare a favore dall'opposizione e quei due stronzi della maggioranza si astengono?

Il gruppo dei fedelissimi comincia a guardarsi nervosamente intorno, sanno già che la cosa si sta mettendo male, che finirà sicuramente con uno di quegli incarichi difficili da eseguire.

- Io dico che gli dobbiamo dare una lezione, li dobbiamo tenere sulla corda fino a quando non glielo mangiamo dall'interno quel loro partitino del cazzo.

Eccolo qua, ci siamo, stanno per arrivare gli ordini, pensa Claudio Prandini.

- Prandini! - ruggisce la Belva

Cazzo, sempre a me, pensa Prandini...

- Mi devi fare un piacere. Senti Franco Monti e organizza qualcosa per il loro partito. Vedi come stanno dentro alla Segreteria e capisci che cosa si può fare, se gli dobbiamo cambiare il segretario, se li dobbiamo far commissariare ecc.

Prandini sospira rilassato, pensava peggio. Alla fine con l'assessore Monti c'è sempre la possibilità di ragionare, pensa. Quando si è trattato di stringere l'accordo elettorale la Belva se lo è portato a Roma con l'auto blu in Parlamento e lì hanno concluso l'alleanza. Senza quei voti alle comunali si sarebbe andati al secondo turno, ed ora i voti dei due consiglieri dovevano tornare più sicuri e blindati, adesso che bisognava approvare altre fondamentali varianti al piano regolatore. Monti gli doveva spiegare che cosa stava succedendo, se per caso avessero cambiato idea, di continuare ad essere quel misero partito satellite del grande Partito Riformista, cioè, della Belva, per l'esattezza. La Belva voleva di nuovo il pieno controllo del consiglio comunale, ora che era riuscito a comprarsi i voti di tre quarti dell'opposizione con incarichi, soldi e biglietti dello stadio e cappuccini al bar, ci mancava solo che quei falliti gli creassero dei problemi.

- Si, certo, sento subito Monti e mi attivo per capire la cosa, non c'è problema. A mio modesto parere va messo un altro segretario al posto di Rosone, che è proprio impazzito. Non ci si può fidare più di lui, non sta più a sentire a Monti, a lui che lo ha piazzato lì come segretario.

- Rosone...io me lo mangio a colazione...

Il gruppo dei fedelissimi ride timoroso alla battuta della Belva. Si passa ad un altro punto all'ordine del giorno.

domenica 28 dicembre 2008

Quando questo nuovo Olocausto avrà fine?

Corrispondenza di Vittorio Arrigoni da Gaza
La nottata è trascorsa insonne, non poteva essere diversamente.Boati e sirene su tutta la città. Ogni bomba quanti morti sono?
Sono stanco di ascoltare le esplosionidi contarli, i morti,ma non posso farne a meno. Siamo a 290 decessi, ma i feriti, per lo più gravissimi, con arti mutilati o maciullati,fanno impennare il bilancio verso l'alto ogni ora. Ho bisogno di tranquillanti.
Non riesco a levarmi dalla mente i volti sorridenti di quei ragazzi che, appena sbarcato, la settimana scorsa con la Dignity del Free Gaza Movement, ho abbracciato uno per uno. Giacciono ora due metri sotto terra.
E attorno a me, nella mia mente, sono come fantasmi che non hanno avuto il tempo di un qualcunque commiato con le loro madri,i loro padri, le loro moglie, le fidanzate. Come Tofiq,studente palestinese che abbiamo tratto in libertà dalla più grande prigione a cielo aperto del mondo, Gaza,e portato su una delle nostre barche (Free Gaza Movement) a Cipro. Tofiq non ha fatto in tempo a salutare suo zio prima di partire, ha detto a me, allora,di portare a lui da parte sua i suoi più cari saluti. Non ho fatto in tempo neanche io.Tofiq Jaber,
zio del mio amico Tofiq, capo della polizia di Gaza, è morto sotto i bombardamenti di ieri. Le linee telefoniche sono intasate,non riesco a contattare tutti i miei amici sparsi sulla Striscia. Ieri molti telefoni sono squillati a Gaza, minacce di morte.
Sono andato a trovare un amico, saputa la notizia, abbiamo strappato il telefono fisso dal muro. Minacce di notte che di giorni si tramutano in orrende realtà. Una bomba è caduta nel giardino di Fida, nostra coordinatrice Ism,c'è mancato un pelo.
Ma è da parecchie ore che le bombe hanno iniziato a cadere a casaccio,avendo demolito ormai solo nella giornata di ieri tutti i siti che Israele giudicava "sensibili". Nessuno sa quando questo nuovo olocausto vedrà termine,nessuno osa immaginarlo. Scrivo con una connessione traballante dinnanzi all'ospedale di Shifa.
Due ore fa, proprio di fianco all'ospedale, hanno tirato giù una moschea.
Solo mezz'ora fa, duecentometri più avanti, una ha bombardato il parlamento e il carcere.
Decine i detenuti sotto le macerie.
Non so che succede fuori da questo inferno, ma mi auguro fortemente che le masse si mobilitino, così come ad Atene hanno fatto per la morte di un ragazzino ucciso da un fascista travestito da poliziotto. Qui siamo quasi a 300 morti, molte le donne e i bambini.
E' il momento una volta per tutte di mettere Israele in un angolo, e condannarlo per i suoi atroci crimini contro l'umanità.
Alzate la vostra voce di indignazione, come
noi urliamo di dolore e disperazione. Guernica è uscita dalla tela e si è trafigurata in realtà in questo inferno.
Vik in Gaza da Infopal.it

Il terrorismo di stato israeliano è oggi il pericolo principale

Sinistra Critica: Quella israeliana è una pulizia etnica.

sabato 27 dicembre 2008

Pop Irno - 2

Matteo Spada è chiuso nella stanza della sua piccola agenzia di investigazioni Il Loto. E' seduto sulla poltrona di pelle, le gambe sulla scrivania e guarda il soffitto e la sua mente vaga in pensieri sempre più leggeri. Fuori continua a piovere mentre il fumo dell'ultima sigaretta appena spenta sale dal posacenere. Nessuna telefonata anche questa mattina, niente lavoro da sbrigare e nessuna voglia di inventarsi qualcosa di nuovo. Il computer è acceso e Matteo si guarda un po' i siti di informazione nazionali, leggendo la solita solfa di disastri, attentati terroristici, dichiarazioni politiche della maggioranza “è colpa del precedente governo” e della minoranza “questo governo sta portando il paese verso il baratro”, gossip sui protagonisti dell'ultimo reality ecc. Una notizia in fondo alla cronaca lo fa quasi cadere dalla sedia. Hanno sparato ad un giornalista. Lo hanno gambizzato. E' ricoverato presso l'ospedale ecc. in discrete condizioni di salute ecc. Si chiama Giuliano Colla. Cazzo, Giuliano Colla. Lo aveva incontrato recentemente alla riunione del Comitato contro la cementificazione del quartiere Parri. Aveva chiacchierato con lui delle sue ultime inchieste e si era letto qualche articolo del suo blog, come dimostra la cronologia di internet del suo pc acceso ora sulla tragica notizia.
Eccolo qua l'articolo di Giuliano, pensa Matteo, che ricostruisce con la solita precisione e dovizia di particolari tutti i retroscena impensabili delle vicende del quartiere Parri, del ruolo dei politici e delle aziende nella costruzione del nuovo grande centro commerciale al posto delle vecchie fabbriche di lana e dei piccoli villini inglesi della zona. Come al solito, anche in questa vicenda, quel genio di Colla era riuscito a far saltare fuori dal nulla, nel contesto di un apparente normalissimo cambio di destinazione d'uso di una zona ex industriale della città, un intricatissimo e complesso intreccio di interessi concordanti e contrastanti tra loro, di pesanti illegalità e di giochi finanziari di mille scatole cinesi, tutte cose che portavano, immancabilmente, alla stessa conclusione. L'ultimo articolo, che Spada si era pure stampato per leggerselo con calma, si intitolava “La Belva ed il Caimano” e si concludeva così :

Per questo pensiamo che dietro il voto dell'ultimo consiglio comunale ci sia una grave irregolarità. La modifica al piano regolatore, fatta all'ultimo momento con la presentazione di un emendamento ad hoc, non può essere fatta con la continua approvazione di varianti. A furia di varianti sul progetto generale, siamo arrivati ad un complessivo stravolgimento del Piano stesso e del futuro di intere zone della città. Potremmo poi dimostrare, carte alla mano, che la società che si è aggiudicata l'appalto per la costruzione del complesso commerciale, la Pop Irno S.p.a, non è che una società fittizia, guidata da prestanome, dietro cui si nascondono i soliti accordi tra il nostro amato Sindaco ed il noto imprenditore di cui abbiamo parlato. Se aggiungiamo che la gara d'appalto risulta costruita su misura, con un'opera di alta ingegneria politica e amministrativa, per far avanzare la suddetta Pop Irno, ci possiamo rendere conto di come, ancora una volta, le esigenze del territorio, dei cittadini, per la riqualificazione ambientale siano state sacrificate per gli interessi dei soliti noti.

Spada si rilegge le ultime righe dell'articolo, risalendo poi con lo sguardo fino a quelle iniziali, in cui Colla spiegava con chiarezza il modo in cui si era costituita la società fantasma Pop Irno e come questa si era aggiudicata la gara per costruire il nuovo, gigantesco centro commerciale, che avrebbe , secondo lui e quelli del comitato, definitivamente rovinato una delle zone più belle della città. A lui che in quella zona c'era anche nato, sembrava veramente un delitto, uno dei tanti commessi dalla giunta comunale e dal suo Sindaco in carica, Sindaco per il quale Matteo Spada nutriva una fortissima e radicata antipatia. Per questo aveva fatto subito amicizia con Giuliano Colla, perchè aveva in comune con lui queste due cose fondamentali : uno, l'odio antico per gli intrallazzi della giunta, due, la passione per il lavoro di investigazione sui detti intrallazzi.

Matteo si accende una sigaretta e pensa alla nuova situazione e si programma la giornata. Visto che nessuno lo è venuto a cercare per proporgli qualche fattaccio da indagare, tanto vale che si cerchi lui qualcosa da fare, su cui investigare. Il solito fatto della montagna e di maometto. Un lungo tiro alla sigaretta che gli entra dritto nel cervello e nei polmoni e Matteo è già fuori con il suo impermeabile beige alla ricerca di un filo da seguire per agguantare la matassa. Allora, pensa mentre si infila nella Skoda, l'articolo che parla del centro commerciale, il tentato omicidio a Giuliano. Sembra esserci qualche relazione tra le due cose o quantomeno questa è la pista più probabile su cui avviarsi, visto che Colla con le cose che scriveva dava fastidio a parecchie persone. Magari una di queste si è rotto i coglioni di essere sputtanato su internet e sui giornali ed ha tentato di farlo secco. Magari è andata così o forse no. Magari lo tampinavano per tutt'altre ragioni. Di sicuro devo vedere Giuliano in ospedale e andare alla riunione del comitato. Sicuro.


Free Gaza

# Detto, fatto. Gli Israeliani hanno attaccato il povero popolo di Gaza facendo centinaia di morti. Si può discutere molto sulla rottura della tregua proclamata da Hamas e sulla sua stessa legittimità a difendere un territorio devastato e umiliato mille volte, coì come discutiamo del colore del topo che fugge rincorso implacabilmente dal gatto. Personalmente avrei da ridire anche sulla strategia fallimentare dell'ANP. Sta di fatto che l'arrogante risposta israeliana, non contestata da nessuno, salvo l'Iran, rischia di innescare un'escalation di violenze e una soluzione finale verso i territori occupati. Quello che indigna è sentir parlare del "diritto alla sicurezza di Israele" quando viene sterminato un popolo intero. Chissà cosa ne pensa Obama della situazione. Forse troppo impegnato a riscuotere il credito che le lobbies filosioniste americane gli hanno fornito in campagna elettorale. In conlcusione, questa è la vignetta di Apicella che Liberazione non ha voluto pubblicare, perchè troppo poco politicamente corretta per l'eroico Sansonetti e il cattolico Vendola.

# Sempre su Liberazione era nata una polemica sull'anniversario del crollo del Muro di Berlino e del ricordo che si è fatto di questo evento sulla tessera dei giovani comunisti (altra stupida provocazione vendoliana). In risposta alle varie considerazioni anticomuniste tipiche dei rifondaroli alla Rina Gagliardi e simili, ecco una bella lettera : Non ci appartengono i muri, accettiamo la complessità della storia.

# Fate presto, cazzo, accattate sti giocatori!

giovedì 25 dicembre 2008

Pop Irno

Uno

Manuela sfoglia l'ultimo numero di Cioè nella stanzetta dipinta di celeste con le pareti ricoperte dei poster dei suoi cantanti preferiti. Sicuramente la sfida è vinta da Tiziano Ferro, primo di gran lunga per aver totalizzato la bellezza di sette poster, raffigurato in tutte le posizioni possibili e immaginabili. Tiziano Ferro al microfono che canta dal vivo, con la maglietta, col cappotto, con lo sguardo languido che osserva di sbieco il tavolino su cui è seduta Manuela mentre sta scrivendo l'ultima pagina del suo diario di scuola.

Oggi Cristina è stata un vera stronza!!! Mi aveva detto che mi avrebbe accompagnato con il motorino alla serata in discoteca al Blue Garden, mentre poi non si è fatta sentire più e ha spento il cellulare, quella cretina. Mi sono dovuta far accompagnare da papi che poi mi è venuto a riprendere alle undici e mezza...Non c'è stato il tempo di vedere e di parlare con Massimo, che quando è arrivato in discoteca me ne sono dovuta andare di corsa!!! Caro Diario, mannaggia la miseria, volevo incontrare Massimo!!!


Seguono venticinque punti esclamativi e settantadue cuoricini rossi che contornano la fotografia fatta col cellulare e stampata ed attaccata con lo scotch sul diario con Massimo mentre fuma una sigaretta sopra il motorino nei giardinetti davanti alla scuola. Se Massimo avesse fatto dei poster su Cioè supererebbe Tiziano Ferro sulla parete di Manuela. Purtroppo è primo solo nel Diario di Hello Kitty rosa fosforescente quanto a foto scattate e disegni fatti a mano libera.

Boom. Boom.

Due colpi sordi, appena attutiti dalle sottili pareti che dividono la stanza di Manuela da quella di suo fratello Giuliano. Giuliano sta finendo il suo articolo per il Blog d'inchiesta Irno News che sono le tre di pomeriggio. Una ricostruzione particolareggiata, come al solito, di tutti i passaggi dei rapporti intercorsi tra l'associazione degli industriali provinciale, dei deputati eletti nei collegi della regione e dei costruttori locali, con qualche riferimento allusivo alla presenza della camorra nell'affare. Quest'ultimo riferimento Giuliano non sapeva se metterlo. Le cose di cui aveva sentito parlare erano chiare, il quadro che aveva dipinto si stagliava ormai con perfezione sullo sfondo corrotto e ipocrita di una città governata dal Partito Riformista e dalle giunte elette di centro sinistra. Solo che non era sicuro se gli conveniva dirla proprio tutta. Ora si sentiva come Roberto Saviano sul finire di scrivere Gomorra, quando ormai tutto il materiale documentario scoperto sui Casalesi e la prosa popolare e romanzata del suo capolavoro reclamavano di uscire dal computer per stamparsi sui milioni di libri della Mondadori per proclamare all'intero universo la verità sugli affari della camorra. Che poi era finita come tutti sapevano, quindi era pure lecito il domandarsi in anticipo e non dopo come aveva fatto Saviano sul chi glielo facesse fare, in effetti. Si era dunque deciso ad un compromesso interno nelle cose che avrebbe scritto omettendo almeno quelle di cui non era assolutamente certo o almeno quelle che di sicuro gli avrebbero causato problemi immediati di querele e simili. Non si identificava, tutto sommato, nei panni del profeta biblico nato con l'obbligo morale di annunciare la verità di Dio, il profeta che porta la parola uscita dal fuoco del roveto ardente a costo della sua stessa vita. Era solo una specie di giornalista con la passione delle inchieste finanziarie e politiche e sugli intrecci tra la politica e i loschi affari economici. Poi, diciamocelo, più che un giornalista, che nessuno di Irno News gli avrebbe mai pagato un articolo che uno, poteva dirsi un blogger o un aspirante giornalista. Non per questo si deprimeva e continuava a scrivere su quell'inchiesta, anche se con una certa cautela. Quello che non poteva sapere era che le prime due puntate pubblicate sul suo sito internet e su quello del giornale locale su cui scriveva, avevano fatto un po' il giro della rete ed avevano suscitato un certo interesse in molti addetti ai lavori, nei protagonisti delle vicende narrate e anche in qualche magistrato. Lui non faceva altro che raccogliere informazioni di qua e di là e metterle assieme, formando un quadro completo e coerente alla storia. Dalla stanza accanto si potevano sentire le parole di Tiziano Ferro :

Ho combattuto il silenzio parlandogli addosso
E levigato la tua assenza solo con le mie braccia


-Manu, cristo! Abbassa quel volume!
-E non rompere!

Giuliano abbassa sconsolato gli occhi sulla tastiera. Gli è sembrato di sentire suonare alla porta ma non è sicuro, la musica è troppo alta.

Di sere nere
Che non c'è tempo
Non c'è spazio
E mai nessuno capirà


Si, cazzo, è proprio la porta e Giuliano si alza bofonchiando a chi gli sta interrompendo il lavoro, la fine dell'articolo, i pensieri di paragone con Roberto Saviano e quella stramaledettissima musica di Tiziano Ferro che gli ronzava nelle orecchie. Apre la porta senza vedere nello spioncino. Davanti a lui c'è un uomo con una mano in tasca.

- Giuliano Colla?
- Si, sono io.

L'uomo si leva la mano dalla tasca rapido e spunta una pistola, Giuliano apre la bocca per lo stupore e guarda l'uomo premere il grilletto. Boom, boom. Due colpi. L'uomo corre giù per le scale e chiuso il portone corre via in strada. Giuliano rimane a guardarsi attonito le gambe. Il sangue comincia ad uscire dai due fori provocati dai proiettili, due, uno sopra e uno sotto il ginocchio destro.

Perché fa male male
Male da morire
Senza te
Senza te
Senza te
Senza te


Cazzo, mi hanno sparato alle gambe, pensa Giuliano. Mentre si aggrappa al mobiletto del corridoio.

Manuela esce dalla stanza e urla. Giulianooooo!

- Manu, chiama l'ambulanza...

(Continua)

lunedì 22 dicembre 2008

Panettone indigesto

Certi giorni vorrei essere il protagonista del romanzo Ninna nanna di Chuck Palahniuk, quello che ha il potere di stecchire con il solo pensiero le persone che incontra. "Ma quello De Luca licenzia i fannulloni!"....Concentrati, concentrati, non lo fare, non ci pensare. No, non ci riesco proprio : Zut! Fuori uno. "Ma la social card di Tremonti è importante, anche 40 euro sono importanti". Oddio, mo proprio ne ho fatto fuori uno in pizzeria, se ci penso faccio la seconda vittima, no, no, concentrati, concentrati. Eh. Fuori due. E' che io non sono portato per l'argomentazione, per il dialogo, per la tolleranza. Il detto di Voltaire sul dare la vita per far esprimere l'opinione altrui non mi convince, mi dispiace, io vorrei una bomba nucleare contro chi non la pensa come me. Datemi una bomba atomica o la rivoluzione. Anzi, datene una all'Iran e una a me, che la passo ad Hezbollah. Mentre noi compriamo i nostri fottuti regalini di natale i nazi-sionisti di Israele stanno per massacrare gli assediati a Gaza, ma nessuno dice niente, nessuno può dirlo ora che i fascisti proclamatisi antifascisti inneggiano al nazionalismo ebraico ed alla democrazia parlamentare israeliana. E' così, se avessi i poteri del protagonista di Ninna nanna sarebbe una strage, rimarrebbero in pochi. Sicuro non rimarrebbe in vita l'arbitro Ayroldi. Ma comunque dico questo metaforicamente, per scherzo. In realtà non servirebbe che fare un lunghissimo respiro. Huuumpfhhhh. Se si vuole dire qualcosa occorre prepararsi al combattimento, altrimenti è meglio tacere. In un talk show televisivo, di fronte ad un ghignante popolo delle libertà non riuscirei a dire nulla di sensato, niente che possa far pendere l'audience verso le mie argomentazioni. Mi piacerebbe poter dare una legnata al Babbo Natale della Coca Cola, liberare i bambini del coro del panettone Bauli, formare il gruppo degli utenti di Facebook che si sono levati da Facebook. Forse lo potrei fare da questo sito. Infatti alla fine non ho retto ed ho resettato il mio account. Troppe facce, troppa trama. Troppa ansia da connessione ed io non voglio essere nè annesso nè connesso. Ammesso e non concesso. Invece di quattrocento amici virtuali mi piacerebbe uscire a cena una sera con un'amica reale, magari con Christel Wegner. Le offrirei una birra, per darle un po' di conforto, visto che è stata appena espulsa dalla Linke, il partito della sinistra tedesca. Aveva semplicemente detto, richiesta di un suo pensiero sulla Stasi, che tutte le nazioni moderne dispongono di servizi segreti, come a suo tempo la RDT. Punto. Ma ha soprattutto ricordato che la RDT non è stata solo Muro e Stasi ma anche diritto al lavoro, alla casa, alla salute, a salari e consumi modesti ma garantiti, ad una scuola non classista aperta a tutti. La compagna Wegner non ha rubato, concusso e niente di simile, però l'hanno cacciata dal partito della "Sinistra". Un bel brindisi a te, Christel, a me, ed a tutte le irriducibili cospiratrici per il socialismo. Prosit.

sabato 20 dicembre 2008

Come Dio comanda

Per rispetto al Salvatores del ciclo della fuga di Mediterrameo e Puerto Escondido, delle canne e delle partite a pallone, di Diego Abatantuono, e perchè mi era piaciuto assai il romanzo di Ammaniti, sono andato a vedere, anche se con pesanti pregiudizi, Come Dio comanda. Nonostante la bella fotografia e le immagini, che danno un sintetico quadro di alcune parti del libro sviluppate invece in lunghi dialoghi, non convincono le scelte di sceneggiatura. Salvatores prende le mosse dal finale del romanzo, riassumendo alla meglio quasi 400 pagine, eliminando la figura secondo me meglio riuscita, cioè quella dell'assistente sociale. Pensare che nel film questi compare brevemente con un azzeccatissimo Fabio De Luigi, che sarebbe andato benissimo. Mancando lo scenario sociale del nord-est leghista, dell'impazzimento dei media, dello sfruttamento dei padroncini nuovi imprenditori rampanti, delle citazioni bibliche di contorno, puntando quasi esclusivamente sul rapporto padre-figlio, mi sembra che manchi quel contrasto di fondo tra immaginario pop e realtà paradossale della trama che rende così bello il libro. Insomma, mi sembra che Salvatores non abbia capito un cazzo del romanzo o, comunque, la sua interpretazione non è convincente, perchè la trama andava sviluppata, secondo il mio modesto parere, accentuando questo contrasto dentro-fuori e non fissata nell'intimismo dei personaggi principali, del Quattro Formaggi impazzito ecc. Alla fine del film si esce dalla sala con un grosso punto interrogativo, credo soprattutto da parte di chi non ha letto il romanzo. Alla fine, nell'opera di Ammanniti era proprio questo quello che contava, la descrizione leggera e televisiva di una realtà sociale ormai delirante, aggravata da quel retrogusto cattolico, dal senso dell'assurdità di un qualsiasi intervento divino, come Dio comanda, appunto. Almeno io così l'ho letto. Può darsi pure che solo io l'abbia inteso così, seguendo i miei gusti, non so. Insomma, non ho trovato quel nichilismo-pop che dovrebbe stare alla base di ogni ogni buona scrittura.

giovedì 18 dicembre 2008

Per farla finita col giudizio di dio (ascesa e declino dell'operaismo)

"Adesso cominciamo a parlare dei rapporti di produzione"
B.Brecht

Nella sua "La società dello spettacolo", opera che molti, non avendola letta, fraintendono per una critica della televisione, Guy Debord analizzava i sistemi di produzione capitalista e socialista. Secondo la fine interpretazione debordiana lo sviluppo di entrambi si differenziava unicamente nel grado di produzione immaginaria e simbolica, lo "spettacolo", rispettivamente nello "spettacolare concentrato" del socialismo ed in quello "diffuso" del capitalismo. In tutta l'opera dello scrittore francese l'unica alternativa politica appena accennata era lo sviluppo mondiale dei "consigli" dei lavoratori, un accenno ad una tradizione, quella consiliarista, ben radicata nella storia del movimento operaio. Di sicuro i situazionisti, pur nel loro breve ed intenso apparire sulla scena poetico politica, non ci hanno lasciato altre vere indicazioni sull'organizzazione e sul che fare : i consigli di Debord sono rimasti un semplice e vago riferimento. Parallelamente al lampo situazionista, indubbiamente con diverse connessioni, abbiamo avuto in Italia lo sviluppo dell'operaismo. Nel Lenin in Inghilterra del primo Tronti possiamo riscontrare una comune eco nitzcheiana, un farla finita con il diamat sovietico ed uno sfondamento a sinistra di teoria e prassi. Dal punto di vista della teoria e pratica organizzativa, comunque, l'operaismo è andato ben più avanti di Debord e soci, ed insieme al consiliarismo di matrice eterodossa ed antiburocratica, ha proposto sulla scena mondiale una pratica di sicuro innovativa. Quello che veniva criticato come "spontaneismo", la pratica conflittuale delle organizzazioni di "parte operaia", la classe operaia "senza alleati", hanno prodotto un bel po' di cose. L'Autonomia operaia ha sviluppato il concetto di rifiuto del lavoro, del salario sociale sganciato dalla prestazione lavorativa ecc. Tutto ciò in una cornice insurrezionale. Questo è il tratto decisivo dell'eresia operaista, quello della sperimentazione di nuove pratiche organizzative, teoriche e conflittuali dentro l'ambito leninista e non più togliattiano. Se si legge "Dominio e sabotaggio" di Negri non si possono avere dubbi al riguardo. All'interno di una lettura della realtà molto dinamica, sociale, attenta alle evoluzioni ed ai cambiamenti del mondo del lavoro, del linguaggio ecc. l'operaismo affrontava l'assalto al cielo ed al cuore dello Stato. Successivamente al crollo ed alla sconfitta di questo assalto, al 7 Aprile ed alla catastrofe della lotta armata, il pensiero operaista ha avuto la capacità di rifondarsi e rinnovarsi in maniera strabiliante, come forse poche culture della sinistra hanno mai saputo fare. Questo rinnovamento, per cui è possibile parlare di post-operaismo, avviene sostanzialmente grazie all'incontro fecondo con il pensiero francese di Foucault e Deleuze. Principalmente nella lettura della microfisica del potere foucaultiana, abbiamo uno slittamento di tutta la tematica operaista in un contenuto sociale della sua prospettiva politica. Permangono i riferimenti al rifiuto del lavoro, al sabotaggio, all'esodo, al salario sociale, all'autonomia come metodo, al passaggio al comunismo senza transizione socialista, alla costruzione dei contropoteri diffusi ecc. Ma, progressivamente, fino all'ultimo incontro con il movimento no global e con le nuove pratiche altermondialiste, lo sfondo leninista viene completamente abbandonato. E' il problema del Potere ad essere messo in questione, e con questo la lettura complessiva della politca generale, della sfera della rappresentanza democratica. Questa lettura ha portato ad effetti immediati anche positivi, come il saper afrontare meglio la complessità dei fenomeni sociali e delle sfaccettature variegate dei conflitti e delle resistenze in atto, così come pure la possibilità di porre le proprie organizzazioni, movimenti o centri sociali, direttamente verso il conflitto, saltando mediazioni e burocrazie. Altri, però, e ben più gravi, fino alla definitiva mutazione genetica sono stati i danni subìti. Innanzitutto il rifiuto della delega come principio e della strutturazione formale dei gruppi ha portato ad un inevitabile verticismo e leaderismo. Se non ci sono luoghi in cui decidere e manca un riferimento esecutivo revocabile è chiaro che decideranno in pochi senza possibilità di verifica. Così come, mentre lo Stato agiva violentemente, negli ultimi trent'anni, a favore del capitale con le ristrutturazioni neoliberiste, fino a diventare un Profit State, la lettura microsociale non consentiva più di affrontare efficacemente gli snodi decisionali del governo. Se ci si è buttati nel contrasto della governance, ci si è fermati in una totale immobilità nel campo del government, della decisione politica. A questo punto, perchè non può sfuggire a nessuno il nesso che di volta in volta si crea tra i due livelli, si è creato un sistema di supplenze ed alleanze che soppiantasse questa mancanza. Ed allora, per necessità, ci si è rivolti alle burocrazie riformiste partitiche e sindacali, in cerca di un impossibile entrismo sui generis, di un "attraversamento", dell' utilizzo strumentale di strutture già esistenti. Va da sè che questo tentativo si è risolto in una catastrofe politica, di cui ogni tanto ci si rende pure conto, come nella fase del 2003 della diatriba violenza-nonviolenza e dell'ingresso di rifondazione comunista nell'Ulivo prima e nel governo poi. Salvo poi ripetere lo stesso schema con altri gruppi, dalla CGIL in giù. Le vecchie parole d'ordine del rifiuto del lavoro e del reddito di cittadinanza, create in un contesto rivoluzionario e addirittura leninista ed insurrezionale, si sono come ibernate e collocate in questa pratica sociale assoluta con alleanze riformiste e riformatrici. Questo, paradossalmente, andrebbe pure bene, solo che ci sono dei piccoli particolari che non quadrano e i fatti, si sa, hanno la testa dura. La crisi economica attuale, una crisi prima che finanziaria, crisi di struttura e di sovrapproduzione, mostra come non mai l'esigenza di intervenire a monte dei processi di produzione, della divisione del lavoro e della pianificazione. E' chiaro che l'attuale sistema produttivo sta portando al collasso l'intero pianeta e che non è più possibile affidarsi al capitalismo ecologico e sostenibile per salvarsi dal disastro. E' il riformismo ad essere oggi impossibile. Si ripropongono con forza, i problemi di un socialismo che sappia organizzare in maniera più umana e consapevole la grande produzione, magari eliminando anche la forzata salarizzazione di sfere relazionali e cognitive. Se l'obiettivo è quello di pianificare, ridurre e dividere il lavoro, non è tanto chiaro come possa farlo esclusivamente un, pur necessario, salario sociale. Ed in genere non è chiaro come una strategia federalista e microconflittuale possa farsi carico dell'immane compito di ricostruire, dall'alto, dal basso, da sopra o da sotto che si voglia, una strategia rivoluzionaria adeguata ai tempi. Quindi, invece di contorcersi nelle crepuscolari dispute attuali sull'essere marxisti e non di sinsitra, invece di addossare ogni colpa dei rallentamenti dei conflitti ai comunisti brutti e cattivi (poco fashion), sarebbe meglio che il movimento post-operaista prendesse atto del proprio fallimento e si ritirasse, con il positivo bagaglio delle sue migliori intuizioni, negli ancora troppo deboli ranghi della sinsitra anticapitalista.


martedì 16 dicembre 2008

Democrazia diretta


di Alessandra Daniele

italia.JPGClaude fu bloccato da un paio di agenti davanti all’uscita del terminal.
- Benvenuto al confine dell’Italia, il paese più democratico del mondo! – gli sorrise la donna.
- Fra qualche minuto le diremo il risultato della votazione – disse l’uomo.
- Quale votazione?
- Gli italiani stanno decidendo se permetterle di entrare nel nostro paese.
- E perché?… Non sono mica un famigerato criminale!…Sono solo un turista qualunque!
La donna annuì.
- Lo sappiamo, ma i nostri cittadini hanno il diritto costituzionale di decidere direttamente su chiunque venga ammesso nel nostro paese.

- Chiunque?… - disse Claude, basito – Ma c’erano più di duecento passeggeri sul mio volo, come possono gli italiani…
L’uomo estrasse dalla tasca una sorta di telefonino, e glielo mostrò.
- Col DemoPhone! – sul touch-screen Claude vide la foto del suo passaporto, una stringa dei suoi dati personali, e due pulsanti, uno rosso, e uno verde. – Ogni cittadino italiano ne ha uno, e ogni volta che riceve la chiamata dal ministero può votare dovunque si trovi semplicemente toccando il pulsante scelto. Il Demoph ha rivitalizzato la democrazia, e debellato l'astensionismo. Naturalmente si può dare un solo voto per volta, e il touch-screen riconosce solo l’impronta del suo legittimo proprietario.
Claude scosse la testa.
- Non è possibile comunque, ci saranno decine di migliaia di persone che ogni giorno chiedono di entrare in Italia….
- Non più. Le nostre frontiere sono solide adesso – disse la donna, con una punta di orgoglio – Si entra quasi esclusivamente su invito. Il suo aereo è l’unico a essere stato autorizzato ad atterrare sul nostro suolo oggi.
- Autorizzato da chi?
La donna sorrise.
- Dal voto popolare, naturalmente.
- Ma…questo sarà un disastro per l’economia... – obiettò Claude. La donna s’irrigidì.
- La crisi c’è per tutti, e in Italia non è peggiore – scandì - noi siamo ottimisti! – tornò a sorridere - Si accomodi pure nella sala, non ci sarà molto da aspettare.
Un paio d’ore dopo, l’ agente richiamò Claude. Gli sorrise, e gli indicò lo schermo del Demoph divenuto tutto verde.
– Congratulazioni, lei è stato ammesso con una percentuale del 54%
- Benvenuto in Italia, il paese più democratico del mondo! - sorrise ancora la donna, e gli aprì la porta del terminal.
Appena uscito, Claude fu infastidito dallo sbalzo di temperatura. Si precipitò all’ interno di un taxi, comunicando l’indirizzo del suo albergo. Il tassista non accese il motore. Si voltò lentamente verso di lui, e disse
- E’ zona gialla.
- Cosa?…
Il tassista si rigirò verso il volante, e cantilenò con aria di annoiata sufficienza.
- I cittadini italiani hanno il diritto costituzionale di decidere quotidianamente in quali zone consentire il traffico, e sulle zone gialle oggi s'è votato no.
Claude notò che il tassametro era già partito. Fece per protestare, ma il tassista gli mise sotto il naso il suo Demoph, dallo schermo tutto rosso, dove campeggiava un inequivocabile “No 61%”.
- Mi dispiace. La posso portare solo fino al limite della zona. All’albergo ci deve arrivare a piedi.
- Ma chi l’ha deciso? Chi l’ha dato questo voto?…
- Gli italiani
- Quali?
- Tutti quelli che hanno diritto di voto.
- Ma che ne sanno tutti gli italiani dei problemi urbanistici di ogni singolo quartiere? – disse Claude, stranito - Li conoscerà chi ci abita, no? Che ne sanno tutti gli altri?
Il tassista si voltò verso di lui con aria torva.
- Guardi che noi siamo informati.
- Informati da chi?…
Il tassista gli diede un’occhiata di disprezzo. Poi si rigirò, mise in moto, e partì.
- La porto al limite della zona. – ripetè – Il resto a piedi.
Scaricato a più di due chilometri dalla sua meta, Claude sentì il bisogno di mettere subito qualcosa sotto i denti. Entrò in una pizzeria, e si sedette. Una cameriera molto giovane e vistosamente incinta gli portò un menù diviso in due colonnine. Poi estrasse il suo Demoph.
- Non mi dirà che adesso gli italiani devono decidere a maggioranza quello che devo mangiare?
La ragazza ridacchiò
- Ma no. L’hanno già deciso stamattina il menù giornaliero per le pizzerie di tutta Italia. Stavo solo controllando.
Claude si alzò, esasperato
- E se io volessi mangiare un’altra cosa?
- Lei è straniero, vero? – gli chiese un tipo corpulento, uscendo da dietro il bancone.
Claude si rimise seduto. Era affamato e stanco, e decise di abbozzare.
Si sforzò di sorridere alla cameriera.
- Mi scusi. Porti pure...quello che c’è. E auguri per il bambino!…E’ il primo, vero?
- Veramente è il terzo, ma gli italiani hanno deciso che lo dovevo tenere.
Claude chinò gli occhi sul menù, e finse di leggerlo.
Cenare prima di camminare non era stata una buona idea. A metà strada dal suo albergo, Claude sentì il bisogno di riprendere fiato. Era ormai buio, e le vie s’andavano svuotando. Si fermò davanti a un videonoleggio che esibiva la scritta: “Solo i film più votati!”, poggiò sul marciapiede la grossa valigia, e ci si sedette sopra. Sentì una pacca sulla nuca.
- Ce l’hai una sigaretta?
Si girò, e vide tre ragazzotti dalle facce anonime e i vestiti firmati.
- Non fumo – rispose.
- Neanche io – ridacchiò il primo dei tre, e gli sferrò un cazzotto con un tirapugni di metallo, sbattendolo a terra.
- Cazzo, hai sentito che accento? Ma da dove viene questo? – disse il secondo – Perché l’hanno fatto entrare?
- E’ che sul Demoff l’ accento non si sente, e di faccia sembra bianco – rispose il terzo. Poi sferrò due calci nello stomaco a Claude che si stava rialzando.
- Cazzo, dobbiamo rimediare – disse il secondo, e impugnò la spranga.
Il primo annuì, ed estrasse un Demoph.
Claude provò di nuovo ad alzarsi. Il terzo lo bloccò con una bastonata. Il secondo gli sferrò un altro paio di calci. Poi disse al primo
- E allora?
Il primo gli si avvicinò esibendo il DemoPhone.
- Ecco il risultato! – disse. E lesse ad alta voce – “Eliminare barbone immigrato? Sì 78%”.
- Come da pronostico – commentò il secondo, sollevando la spranga.
Claude vide la luce verde del piccolo schermo brillare nel buio.
Poi non vide più nulla.

domenica 14 dicembre 2008

Estetica della crisi o crisi dell'estetica

Nonostante tutte le catastrofi naturali ed innaturali quotidiane connesse alla crisi del capitalismo mi sembrerebbe troppo semplicistico parlare di Apocalisse per riferirsi allo scenario politico ed estetico nel quale ci troviamo. Che poi Apocalisse che significa? Questa "rivelazione dall'alto", questa rivelazione che si presume venga da un Dio che sta in alto, non era in realtà che il trattato di una setta religiosa scritto in codice per non farsi scoprire dal potere costituito, all'epoca l'Impero Romano, di cui appunto si auspicava la sconfitta. Sconfitta effettivfamente arrivata. Quindi potremmo parlare di un testo politico abbastanza all'avanguardia per i tempi, di cui però si è smarrito completamente il significato originario, arrivando alla modifica per cui oggi parliamo di apocalisse uguale fine del mondo uguale collasso del sistema in cui viviamo. Quindi potremmo collocarci su di un binario in cui i segnali di crisi estrema in cui oggi ci ritroviamo, ambientale, economica, culturale, demografica, politica ecc. trovano nel riscontro dell'estetica del declino, della fine, del collasso il segno su cui surfare e produrre significato. In questo modo, però, è come se la famosa setta religiosa dell'epoca romana, chiamata dei "cristiani" dai suoi detrattori, non avesse elaborato alcun codice alternativo e segreto per produrre un cambiamento di senso ed una prospettiva rivoluzionaria per i suoi seguaci. Niente di più facile, dunque, che accelerare con il movimento estetico l'omologa entropia economica prodotta dal capitalismo, dal delirio del suo codice della produzione per il profitto. Nella discussione sulla violenza nei movimenti di contestazione si proclamava l'esigenza di non produrre questo "doppio" di un potere a sua volta violento all'ennesima potenza, cercando una via totalmente altra per non esserne poi risucchiati e modificati nel corso della lotta. Questa intuizione è vera da un certo punto di vista, non so, però, se proprio nel suo specifico richiamo all'assenza di forza e di violenza contro la barbarie. Piuttosto, in un ragionamento più specificamente politico, dovremmo ricorrere a tutte le intuizioni di un sobrio materialismo oserei dire illuminista per ritessere il filo della sovversione. L'unica possibilità che abbiamo per sopravvivere alla crisi è un nuovo sistema di produzione. Non possiamo imbarcarci in un reset dei percorsi organizzativi e degli strumenti che la classe degli sfruttati (quando ha potuto operare in suo favore) ci ha messo a disposizione. Non ci sarà, tanto per intenderci, nessun Angelo Nuovo che ricomporrà l'incanto e risalirà nella storia delle vittime. Saranno i vivi da soli a giocare la parita. Per questo non potremo che rinominare la parola Socialismo in antitesi alla barbarie quotidiana, senza però salti logici e linguistici, senza nessun balzo di tigre e mossa di cavallo. Le due tradizioni principali della sinistra del nostro paese, quella togliattiana e quella operaista, hanno entrambe fallito nella loro strategia. La prima, per eccessivo uso della dialettica hegeliana, si è trasformata nel suo rovescio, cioè in organizzazione del dominio delle elites capitalistiche (nelle banche Unipol e nei bombardamenti su Belgrado). La seconda non ha mai fatto completamente i conti con la fatica organizzativa dei movimenti di lotta e per postulare il rifiuto della delega e della democrazia rappresentativa non ha prodotto che una gestione verticista, personalista ed antidemocratica dei conflitti. C'è infine molta meno democrazia in un Centro sociale occupato ed autogestito che in un qualsiasi partito politico che sia. Questi tempi feroci in cui dalle crisi congiunturali dell'economia risalta tutta la fallimentare struttura del capitalismo, dalla recessione, alla guerra alla devastazione ambientale, tanto più la velocità impazzita del semiocapitalismo ci conduce verso una inafferrabile geografia del dominio, tanto più dovremmo essere capaci, umilmente, di ricondurci negli sporchi anfratti della storia, nei lunghi, tortuosi, noiosi e fumosi sotterranei della razionalità politica. Uno sforzo simile a quello che pochi coraggiosi, nella notte del pieno novecento delle guerre mondiali e degli stermini di massa, fecero fondando la IV Internazionale, sfuggendo dalla tenaglia della doppia repressione dei capitalisti e dei sicari di Mosca al soldo di Stalin. Con un gesto coraggioso seppero rifondare da immani tragedie un percorso dignitoso e lungimirante alle classi oppresse, senza settarismi e cedimenti al nemico, senza buttare il bambino insieme all'acqua sporca e senza fingere che la rivoluzione fosse dietro l'angolo, prima o al posto dell'apocalisse.

sabato 13 dicembre 2008

Giustizialismi

# Oggi mi sento parecchio giustizialista, manco fossi quel poliziotto contadino del Di Pietro o quell'impeccabile giornalista anglosassone di Travaglio. Il fatto è che mi corre l'obbligo (e me ne faccio carico, come diceva Arbore) di segnalare questa news sul rinvio a giudizio per l'affare Sea Park del Sindaco, dell'ex Sindaco, dell'ex Assessore etc. Come lo sciopero CGIL non mi sembra di averla sentita troppo in giro codesta (come direbbe Eziolino Capuano) notizia : http://www.tvoggisalerno.it/mostra.php?cod_news=8162

# Sono incorregibile e non mi fermo mica, aggiungendo pure un interessante video in cui Travaglio spiega la vicenda De Magistris : http://voglioscendere.ilcannocchiale.it/post/2113761.html

# Lo so, lo so che il problema è sociale e non giudiziario. Comunque vale sempre bene il precetto di godere delle disgrazie altrui, soprattutto dei nostri nemici. E poi, comunque, qualche segnale positivo lo possiamo riscontrare, tipo il dietrofront della Gelmini sul maestro unico delle elementari. Inoltre segnalo il sito della raccolta firme per la legge di iniziativa popolare sul Salario : www.51000.it
Per firmare a Salerno c'è sempre la Baol a disposizione e il prossimo banchetto Giovedì pomeriggio a Piazza Largo Prato a Pastena.

# E poi diciamocelo, il fatto che Licio Gelli in persona sia in tivvù a spiegarci la storia d'Italia semplifica un po' la questione, togliendo imbarazzanti quanto inutili ipocrisie.

# Sto lavorando ad un nuovo episodio dell'investigatore privato Matteo Spada. Questo racconto, di cui non anticipo ancora niente, eh eh, uscirà in un formato particolare creato dalla Dhammapada Project Edizioni Copyleft.

venerdì 12 dicembre 2008

Come il Tg comanda

# Da quanto ho visto in anteprima televisiva, mi sembra che Salvatores abbia scelto di evidenziare le parti meno interessanti del libro di Ammaniti Come Dio comanda. Naturlamente, devo ancora vederlo, però, visto che se ne parla così tanto in anticipo, ha levato dalla sceneggiatura i personaggi più belli, come quello del viscido assistente sociale ed ha ambientato le scene in un freddo Friuli, troppo distante dall'atmosfera di bassa padana paludosa e industrializzata che fornisce al libro una cornice essenziale. Sono perplesso.

# Per il telgiornale di Lira Tv oggi a Salerno non c'è stato nessuno sciopero generale della CGIL. Il traffico che ha bloccato tutta la città sarà stato provocato esclusivamente dalla pioggia. Migliaia di persone in corteo sono state elegantemente cancellate da TG forse per via dei troppi slogan contro il Sindaco.

# Nessuno sembra parlare dei contenuti di ciò su cui stava indagando De Magistris prima che venisse fermato dai vertici politici e giudiziari italiani. Peccato.

# Purtroppo Mutti è costretto a schierare pressocchè la stessa formazione di Castori. E come dice Gerry Scotti : che Dio ci benedica!

# Quello che accade in Grecia è sconcertante, terribile e grandioso. Gli studenti, i giovani, si sono rotti il cazzo e volgiono vendicarsi dell'omicidio a freddo di Andreas. La polizia si sta già inventando la storia di proiettili vaganti che rimbalzano (dove l'ho già sentita questa storia?) e gli stalinisti del KKE inveiscono contro i manifestanti "incappucciati" (anche questa non mi è nuova...). Però i ragazzi non vogliono fermarsi e gli scontri continuano. Sembra che vogliano dirci una cosa fondamentale, che non hanno niente da perdere.

giovedì 11 dicembre 2008

Christmas Karol

di Alessandra Daniele

Fu svegliato da uno strano clangore di ferraglia.
Aprì gli occhi, e lo vide davanti al suo letto, in piedi, vestito di bianco, alto ma curvo, come negli ultimi anni. Coperto di grosse catene rugginose.
- Salve Joseph – disse. La sua voce inconfondibile sembrava provenire dal fondo dell’inferno.
Joseph biascicò un urlo strozzato
- Karol? ..Non è possibile! Sei morto!...- a fatica si tirò su dal cuscino, poi spalancò la bocca – Allora anch’io sono morto!…Maledetti, lo hanno fatto di nuovo, hanno avvelenato nel sonno anche me come quel povero stronzo!….

- No Joseph, tu non sei ancora morto. Non più del solito, almeno. Sono stato mandato qui per annunciarti che quest’anno non te la sei cavata con la messa, la tua notte di Natale non è ancora finita, e sarà peggiore di quanto previsto dal cerimoniale. Peggiore persino del concerto di Canale 5.
Lo spettro sghignazzò, facendo cigolare le catene, e svanì.
Joseph si ritrovò seduto nella neve, davanti a una casa in stile bavarese. La casa dov’era cresciuto.
Con uno sforzo si girò a quattro zampe, si alzò rabbrividendo, e si guardò attorno: non c’erano automobili o antenne, tutto era come nei suoi ricordi d’infanzia. Quasi senza rendersene conto, sorrise.
Come sbucato dal nulla, un uomo gli si avvicinò. Alto, sulla cinquantina, cappello, occhiali, bastone, e un lungo cappotto.
- Professor Goldstein!…Mi ricordo di lei!…
L’uomo sorrise
- Anch’io mi ricordo di te. Eri così studioso, educato, disciplinato. Sempre in ordine. Anche l’ultima volta che ti ho visto eri in ordine. Avevi la divisa impeccabile.
L’uomo gli sferrò una bastonata di taglio, sbattendolo a terra
- La divisa della Hitlerjugend. Sì Joseph, mi ricordo di te.
- Ero un ragazzino! Avevo quattordici anni! Non è stata una mia scelta, reclutavano tutti!…
L’uomo sferrò un’altra bastonata.
- No, non tutti. Mio figlio non l’hanno reclutato, l’hanno preso. Ti ricordi anche di lui? Aveva la tua età di allora. E non ne avrà mai un’altra. E’ morto soffocato dal gas, insieme a me, a sua madre, e a sua sorella di cinque anni, mentre tu lucidavi i bottoni della tua divisa nuova.
L’uomo assestò una terza bastonata. Joseph si girò cercando di sottrarsi. Vide che attorno a loro le case in stile bavarese erano sparite. Restava solo una sconfinata distesa di neve percorsa da filo spinato.
- Non lo sapevo! Non lo sapevo!…- piagnucolò.
- Giusto. Allora non lo sapevi. Adesso lo sai però, vero?…Quindi perché beatifichi quel viscido farabutto del tuo pio collega? Lui lo sapeva allora. Lui non era un ragazzino.
L’uomo sollevò a due mani il bastone, e fece per abbatterlo sul cranio di Joseph.
Joseph strillò coprendosi la testa con le braccia.
Fu assalito da un’ondata di calore bruciante.
Si ritrovò in una piazza deserta e assolata.
Accanto a lui un ragazzo bruno, dai grandi occhi neri, scuoteva la testa.
- Scommetto che quel babbione di Karol non ti ha spiegato quello che ti sarebbe successo stanotte. Voleva lasciarti la sorpresa – accennò un sorriso – sì, lui ha sempre avuto il senso dello spettacolo. Beh, come penso avrai capito, quello che hai appena incontrato era il fantasma del tuo passato. Io invece…sono quello del tuo presente.
Improvvisamente la piazza si riempì di persone vocianti. Perlopiù uomini baffuti, e qualche donna velata. La folla afferrò Joseph e il ragazzo, li trascinò brutalmente, e li issò su di un patibolo improvvisato.
- Ehi, no, un momento! – gridò Joseph, dibattendosi – questi sono fanatici musulmani! Non c’entro niente con loro!
Il ragazzo sospirò, mentre ad entrambi legavano le mani dietro la schiena
- Ma Joseph, non senti come ci stanno chiamando?…Ah, già, tu non sei poliglotta come Karol, non li capisci…beh, traduco io: nella città in cui abiti si dice “froci”. Già, quelli che tu preferisci vedere impiccati, che sposati. L'hai detto chiaro anche all’ONU.
- …e tu sei?…
- Sì. Dici che non si vede? Certo che non si vede, stronzo. Non andiamo mica sempre tutti in giro vestiti da Drag Queen…come te.
Un paio di baffuti infilarono un cappio al collo del ragazzo, altri due fecero lo stesso con Joseph, che si torceva scalciando e urlando.
- Lasciatemi andare! Io questo frocio non lo conosco! Non lo toccherei mai!…
- Che c’è Joseph, sono troppo vecchio per te?…Su, non ti agitare, la morte per impiccagione è un’esperienza che non può mancarti….la sensazione di soffocamento, l’osso ioide che si spezza, gli occhi spinti fuori dalle orbite….io ci sono già passato, ma per te sarà meno doloroso. A te non toccherà veder morire nello stesso modo accanto a te anche la persona che ami.
La botola sotto i loro piedi si aprì con uno scatto secco.
Joseph sentì lo strappo della corda.
Poi si ritrovò avvoltò dall’oscurità.
Non riusciva più a percepire il suo corpo, né nient’altro attorno a se. Era come fluttuare nel nulla più angoscioso e assoluto.
«Ecco, adesso sono davvero morto» pensò.
«Errato» disse una voce metallica nella sua testa.
«Sei…Dio?» pensò Joseph
«Errato» ripetè la voce metallica.
«Chi sei allora?.. »
«DIMON»
«Cosa?.. »
«Dspositivo Integrato di Mantenimento Organico Neuronale»
«Cosa?.. »
Joseph sentì un click, poi ancora la voce:
«Guida tecnica…attendere prego… Guida tecnica…. - partì una sorta di spot introduttivo – DIMON, il cyber-supporto che mantiene in vita ciò che resta del vostro cervello anche dopo l’incidente più devastante. Neanche un solo neurone attivo rimasto è troppo poco per noi, la vita è sacra! DIMON, approvato dalla Chiesa Rinata Unificata Cristiano-Capitalista d’Occidente!»
«Aspetta…tu saresti il fantasma del futuro?.. – pensò Joseph – Vuoi dire che sono condannato a un’eternità di coma meccanico?…Eh no, basta! Karol! Vecchio bastardo, dove sei? Noi abbiamo fatto un accordo! Tu mi hai lasciato il tuo posto, e in cambio io, quand’è arrivata la tua ora, t’ho fatto staccare la spina senza accanimenti. Ti ricordi? Beh, ho già fatto lo stesso accordo col mio successore, quindi non ci sarà nessun “DIMON” nel mio futuro, quest’incubo finisce qui, io me ne torno nel mio letto...e domattina lo faccio bruciare!»
Un altro click interruppe i suoi pensieri.
«Alterazione percettiva in atto. Schema consueto: il paziente rivive l’allucinazione avuta la notte di Natale in cui è stato colpito dall’emorragia cerebrale, e crede di poterne uscire come da un incubo, ritrovandosi nel suo corpo di allora. Terapia consigliata: elettroshock.»
La scarica trasformò la marea di nulla in un oceano di dolore.
«Alterazione percettiva cessata. Il paziente è tornato consapevole della sua condizione attuale».
Mentre riemergeva dal dolore al nulla, a Joseph sembrò di sentire un lontano rumore di catene, e l’eco ghignante di una frase.
«Buon Natale a tutti quanti».

mercoledì 10 dicembre 2008

Il programma

"Non c'è bisogno della fantascienza per concepire un meccanismo di controllo che dia in ogni momento la posizione di un elemento in ambiente aperto, animale in una riserva, uomo in una impresa (collare elettronico). Félix Guattari immagina una città in cui ciascuno può lasciare il suo appartamento, la sua strada, il suo quartiere grazie alla sua carta elettronica (dividuale) che faccia alzare questa o quella barriera, e allo stesso modo la carta può essere respinta quel giorno o entro la tal ora; ciò che conta non è la barriera ma il computer che ritrova la posizione di ciascuno, lecita o illecita, ed opera una modulazione universale. Lo studio socio-tecnico dei meccanismi del controllo, visti nel momento della loro nascita, dovrà essere categoriale e descrivere ciò che è già in procinto di installarsi al posto degli ambienti di reclusione disciplinare, di cui tutto annuncia la crisi. Può darsi che vecchi mezzi improntati alle antiche società di sovranità, riappaiano sulla scena, ma con gli adattamenti necessari. Ciò che conta è che noi siamo all'inizio di qualcosa. Nel regime delle prigioni: la ricerca di pene "sostitutive" almeno per la piccola delinquenza, l'utilizzo di collari elettronici che impongono al condannato di rimanere a casa in certe ore. Nel regime dell'istruzione: le forme di controllo continuo e l'azione di formazione permanente sulla scuola, il corrispondente abbandono di ogni ricerca all'università, l'introduzione dell'"impresa" a tutti i livelli di scolarità. Nel regime ospedaliero: la nuova medicina "senza medico né malato" che tratta malati potenziali e soggetti a rischio, non testimonia assolutamente di un progresso verso l'individuazione, come si dice, ma sostituisce ad un corpo individuale o numerico, la cifra di una materia "dividuale" da controllare. Nel regime d'impresa: i nuovi trattamenti del denaro, dei prodotti e degli uomini che non passano più per la vecchia forma-fabbrica. Sono degli esempi molto ridotti, ma che permettono di capire meglio che cosa si intenda per crisi delle istituzioni, cioè l'installazione progressiva e diffusa di un nuovo regime di dominazione. Una delle questioni più importanti riguarda l'inettitudine dei sindacati: legati in tutta la loro storia alla lotta contro le discipline o negli ambienti di reclusione, si potranno adattare o lasceranno il posto a delle nuove forme di resistenza contro le società del controllo? Si possono già cogliere delle anticipazioni di queste forme a venire, capaci di attaccare le gioie del marketing? Molti giovani pretendono, stranamente, di essere "motivati", richiedono stage e formazione permanente; a loro toccherà scoprire ciò a cui questo li asservisce, come i loro antenati hanno scoperto non senza pena le discipline. Le spire di un serpente sono ancora più complicate dei buchi di una talpa".

Gilles Deleuze, La società del controllo, 1990

martedì 9 dicembre 2008

Blog e letteratura

di Gherardo Bortolotti

Vorrei fissare alcuni appunti che, mi sembra, potrebbero servire da base per una discussione sulla letteratura on line e, più specificatamente, sulla letteratura ed i blog.

Un blog, in poche parole, è una pagina web che viene sistematicamente aggiornata con nuovi contenuti. Il visitatore di un blog, quando arriva sulla pagina, vede in testa alla stessa l’ultimo contributo inserito, mentre i precedenti sono disposti sotto, in ordine inverso di apparizione. I contributi, o post, sono in genere testuali anche se possono presentare video, audio in file o in streaming, immagini e così via.Ogni post è indicizzato per data, cioè è legato al momento in cui è apparso on line. Inoltre, i post possono essere indicizzati per mezzo di tag, piccole espressioni in linguaggio naturale che cercano di dare conto del contenuto del post (per esempio, il post che recensisce un libro di fantascienza sarà taggato con “recensione”, “fantascienza”, il nome dell’autore, il titolo del libro e così via).I post, poi, prevedono uno spazio per i commenti, cioè un luogo in cui i visitatori possono dare un feedback immediato rispetto al contenuto proposto o rispetto ad altro. Infine, un blog presenta in genere una colonna dedicata ai link verso altri blog o, comunque, verso altre risorse on line - il cosiddetto blogroll.

Questo, diciamo, è l’esterno di un blog, quello che vede il visitatore. Il gestore del blog, cioè il blogger, vede le stesse cose ed in più ha accesso ad un’interfaccia di gestione. Questa interfaccia (il back-office, come viene definito di solito), comprende almeno due cose: un programma per gestire i contenuti del database che compone il blog (quelli da mettere on line, quelli già on line, etc.) ed un programma di videoscrittura, non troppo diverso da un applicativo come Microsoft Word, per esempio, che non richiede nessuna particolare conoscenza di informatica (HTML, scripting o altro).

Un blog può essere aperto da chiunque, dato che sono presenti in rete numerosi provider gratuiti (Splinder, Blogger, Blogsome, Wordpress.com, etc.), alcuni dei quali mettono a disposizione dei software veramente di ottima qualità, e sembra che in effetti siano proprio tantissimi quelli che decidono di aprirne uno. Technorati, motore di ricerca focalizzato sui blog, ne conta a tutt’oggi quasi 113 milioni (una cifra che non si afferra con facilità - e che, per altro, richiederebbe alcune precisazioni - ma che, in effetti, può essere apprezzata se si pensa che comporta qualcosa come una ventina di nuovi post al secondo).

Ora, a partire da questa veloce e schematica descrizione di un blog (ovviamente, rispetto al modello che ho illustrato, si possono trovare parecchie eccezioni, e differenze, passando da un’implementazione all’altra) mi sembra che si possano individuare le “dimensioni di base del blogging” e metterle in relazione con la letteratura - o, meglio, con l’idea che abbiamo di letteratura.

1.

La prima dimensione è, certamente, quella della produzione di contenuti. Della massiva produzione di contenuti, a ben vedere, dati i numeri del fenomeno. Il blog in effetti, se si basa su qualcosa, si basa sul continuo aggiornamento del proprio database con nuovi post, nuovi testi, nuove immagini e così via. In un processo virtualmente inesauribile, il blog accumula i propri elementi, validi in quanto ulteriori tratti di quello stesso processo, creando una sommatoria di singole istanze che non prevede, strutturalmente, una fine.

Questo aspetto, che non è specifico dei blog ma che è un tratto caratteristico del cosiddetto Web 2.0 (ma, a ben vedere, anche di tutta le rete), mi sembra introdurre una forte novità, se messo in relazione all’idea che abbiamo in genere della letteratura.

Di solito, infatti, quando si parla di letteratura si intende la “buona letteratura”, ovvero si intende il risultato di una serie di filtri, di meccanismi di rarefazione, selezione, scarto e promozione, che produce un canone, più o meno condiviso, di testi eccellenti. La stessa scrittura letteraria la si intende in genere come una specie di “meccanismo del levare”, sia quando viene intesa in senso classicista che in senso manierista.

Il blog, invece, propone un modello basato sull’aggiunta in cui, per riprendere un’opposizione da manuale, conta più il contenuto della forma, e la cui modalità è l’accumulazione e non la selezione. Il blog si costituisce su quelle unità di contenuto che sono i post e non importa se i testi (o le immagini, i video, etc.) siano il frutto di una cura particolare, dell’elaborazione di uno stile, di una retorica specifica. La forma generale dell’elenco, che lo innerva, riporta (ma, si noti, non necessariamente riduce) il valore di qualunque suo elemento a quello della mera unità costitutiva.

In qualche modo, questo processo di accumulazione può ricordare l’accumularsi delle merci ma, in effetti, c’è una differenza, a cui ho appena accennato: se la merce è “il sempre-uguale in grandi masse” - secondo l’espressione di Benjamin -, i contenuti della rete sono singolarmente irresolubili e valgono piuttosto come il sempre-diverso in grandi masse. Si tratta certo di una diversità fatta per lo più di particolari minimi, scarti millimetrici, peculiarità marginali, eppure permette al singoli contenuti di avere un valore autonomo e, proprio per questo, valere come elementi dell’accumulazione.

2.

La seconda dimensione è quella temporale. Come si è detto, infatti, il blog si sviluppa lungo l’asse del tempo, secondo le vicende dei suoi aggiornamenti; i post sono indicizzati per data e la pagina presenta i contenuti in base alla loro apparizione.

Di nuovo, questo aspetto sembra rappresentare una novità dato che, in genere, il testo letterario gode di una specie di condizione extra-storica, per la sua natura finita e sfruttando l’apparente trascendenza del linguaggio. Sulla separatezza del testo letterario, in effetti, si sono costituite diverse questioni teoriche e, per esempio, uno dei problemi che si è posta spesso la letteratura è come possa il testo stesso “entrare” nella realtà del lettore.

Il blog, invece, non esiste in una sua completezza extra-storica, dato che non è mai finito (essendo, al massimo, interrotto) e, per di più, dato che la storia, il tempo in cui si dipana, è lo stesso del fruitore, addirittura con le stesse date, lo stesso calendario. Questa è certamente una condizione nuova per il testo letterario, diversa anche da quella delle pubblicazioni periodiche (del feuilleton, per esempio). Il fatto è che l’attività di chi produce i contenuti, e quindi la “storia” del testo/blog, è tracciabile, non viene più rimossa dalla completezza dell’opera (si noti: le date dei post possono essere manipolate e la tracciabilità che assicurano non è necessariamente affidabile, eppure questo non cambia la nuova condizione in cui il testo viene messo).

Il testo letterario, inoltre, funziona anche al suo interno come una sorta di trappola temporale. In effetti, non si limita ad apparire come un feticcio extra-storico ma basa questa sua pretesa sulla capacità che ha di introiettare la dimensione temporale. La letteratura, come è noto, cerca di chiudere in sé lo scorrere del tempo, sfruttando i meccanismi della narrazione, l’ipostasi della voce lirica, la circolarità della scrittura/lettura.

Il blog, invece, non sembra premettere questo. Credo sia abbastanza facile notare, per esempio, che leggere un testo letterario “normale” pubblicato in un post richiede un’astrazione maggiore e, in effetti, la ragione sembra proprio essere questa temporalità esibita del blog. Chiaramente, anche la produzione su blog cerca di gestire il tempo, di catturarne lo scorrere e l’entropia, ma l’impressione è che, alla circolarità della scrittura/lettura, preferisca una specie di strategia da “capsula del tempo”, da reperto archeologico, da object trouvé.

3.

La terza dimensione, ancora, è la dimensione sociale. Nella descrizione precedente, ho cercato di darne conto indicando la presenza dello spazio per i commenti, in cui questa socialità si esplica, ma in effetti la si può vedere anche nel blogroll e, in modo più peculiare, nei tag. Questa dimensione, altro aspetto tipico del Web 2.0, è in genere riportabile alla nozione di comunità che si crea attorno al blog stesso, una comunità simile a quella che si crea attorno ad un testo letterario ma che possiede, a ben vedere, dei tratti caratteristici molto marcati.

Nella comunità del blog, per prima cosa, alcuni ruoli ed alcune gerarchie, tipici della comunità che si crea attorno al testo letterario, si indeboliscono parecchio. Per quel che riguarda i ruoli si può notare, dato che i visitatori producono a loro volta contenuti attraverso i commenti, che la distinzione tra chi scrive e chi legge, tra produttore di testo e fruitore, viene resa molto meno netta, almeno dal punto di vista della “natura” del blog (che, come si è detto, sembra dare priorità al contenuto, a prescindere da altre considerazioni). A fronte di questa debolezza nella distribuzione dei ruoli, le gerarchie di valore che in genere se ne derivano (per esempio la maggiore “importanza” dell’autore) risultano a loro volta indebolite. Non solo: l’allentamento della distinzione tra spazio pubblico e spazio privato, tipica della rete (nella realtà virtuale, infatti, non si è mai collocati completamente fuori dal proprio privato pur frequentando luoghi non-privati), e l’immersione del blog nel tempo del fruitore, danno a loro volta un tono peculiare alla comunità del blog.

Un’altra caratteristica di questa comunità è la sua natura para-tribale, per così dire. Questa è forse il tratto meno immediatamente ovvio ma che, pure, meriterebbe la maggiore attenzione, dato che sembra costituire una specie di nuovo modulo socio-culturale. Quello che intendo è che siamo abituati a pensare che un testo letterario riesca a riunire attorno a sé o un pubblico generico e generalista oppure una porzione determinata di quel pubblico. Nel primo caso, grazie alle sue supposte capacità di cogliere lo “spirito” della gruppo in senso lato in cui si colloca (la nazione, il popolo, la gente); nel secondo, grazie alla sua capacità di targettizzare il pubblico generico e ricavarsi la sua nicchia.

Quello che succede nel caso del blog, invece, sembra nettamente diverso. La comunità a cui dà luogo non è quella generalista perché la struttura di distribuzione della rete non prevede più una o più fonti maggiori di informazione che si rivolgono immediatamente ad un bacino di utenza generalista ma, piuttosto, si costituisce su reti locali di distribuzione, integrate ad un livello superiore in reti più ampie (non per niente Internet è la “rete delle reti”). Non è nemmeno una comunità targettizzata, però, perché la meccanica del target è esclusiva (almeno dichiaratamente) e legata a caratteri formali del prodotto, mentre il blog, come si è visto, sembra disinnescare la dimensione formale e per di più genera comunità inclusive se non, in un certo senso, schizofreniche.

Per definire la comunità generata dal blog, quindi, uso il termine para-tribale, anche se lo ritengo inadeguato. Non è adeguato perché, come ho appena segnalato, le comunità on line, anche se tendono ad una specie di identità settaria, in verità non se lo possono permettere: i loro componenti fanno parte, in genere, di più comunità contemporaneamente e questo dà luogo ad una specie di schizofrenia che contrasta con l’identificazione tribale (e, d’altra parte, lo stesso sistema di link in cui il blog si colloca, rinvia più ad una specie di federazione che ad una tribù). Tuttavia, l’espressione coglie un aspetto feticistico che mi sembra ricorrente nelle comunità legate ai blog e che, come ho già accennato, è esemplificato dalla pratica del tagging. Le comunità on line, infatti, sembrano spesso costituirsi attorno ad alcuni termini, alcune espressioni, per esempio quelle costituite dai tag o dalle parole-chiave inserite nei motori di ricerca. Anzi, molto probabilmente, le comunità più numerose a cui i blog danno luogo non sono tanto quelle esplicite dei commentatori o dei blog linkati ma quelle comunità puntiformi, istantanee e intermittenti che si costruiscono nelle successive “adunate”, di individui che ricercano determinate espressioni, attorno a quelle espressioni ed ai testi che le contengono.

4.

La quarta dimensione è la dimensione transnazionale. Anche questa è una caratteristica della produzione on line in genere e la si deriva dalla natura stessa della rete che, se pure ha un accesso locale, in verità porta immediatamente ad un circuito globale. Questo implica un cambiamento di scala ed un bacino di utenza staccato dalla dimensione nazionale. Chiaramente, continuano a funzionare meccanismi di raggruppamento, come le aree linguistiche o le affinità culturali, e tuttavia sono ridotti a elementi di articolazione e non a princìpi fondanti.

La differenza che introduce questa dimensione, rispetto ai termini secondo cui siamo abituati a pensare la letteratura, è di una certa rilevanza. In effetti, la letteratura è organizzata in termini di tradizioni nazionali. Anzi, si può dire che la letteratura viene identificata con l’insieme dei canoni nazionali, e cui mi riferivo più sopra, messi eventualmente in relazione attraverso studi comparativi e traduzioni. Il costrutto “canone nazionale” è talmente forte che i singoli testi costruiscono una parte sostanziale della proprio individualità a partire dalla propria collocazione nel dibattito nazionale, in una rete di rimandi filologici e tematici, contribuendo a loro volta a farlo procedere nella sua crescita.

Il riferimento all’area geografica, per altro, non ha solo un côté culturale ma si realizza nella struttura stessa dell’industria editoriale che ha una sua distribuzione basata sulle aree linguistiche e sui bacini di utenza nazionale. È vero che, soprattutto negli ultimi decenni, si è sviluppata una specie di produzione standard internazionale, basata sulla pubblicazione massiccia di traduzioni e incarnata in una specie di canone globale di best-seller e classici contemporanei; tuttavia, questa situazione sembra piuttosto un’implementazione avanzata (maggiormente dinamica) del modello a più canoni che indicavo in precedenza.

Lo scenario in cui ci si trova con la produzione on line è diverso, per almeno due motivi. Il primo è che il meccanismo di distribuzione, come si è detto, è di portata immediatamente globale. Questo non comporta un mero allargamento del bacino di utenza ma un diverso ambiente, una nuova piattaforma, comune e senza caratterizzazione nazionale, in cui la produzione e la fruizione di testi vengono a trovarsi. In questo ambiente - in cui i meccanismi di filtro, la forza normativa e le risorse interpretative fornite dal canone si indeboliscono - i testi stranieri, in verità, appaiono meno stranieri anche se in qualche modo più anodini (oppure, e meglio, meno stranieri proprio perché più anodini). Il secondo motivo è che gli apparati di mediazione (in primis: le traduzioni e le edizioni straniere) che permettono la comunicazione tra i canoni sono, in un certo senso, messi tra parentesi (ed in questo ha sicuramente un peso significativo quell’indebolimento dei ruoli, di produttore e fruitore, sottolineato più sopra) a favore di un rapporto diretto con i testi di provenienza estera, reperibili on line ed immediatamente fruibili.

Una parte fondamentale, in questo passaggio, è rivestita senza dubbio dall’inglese che, grazie alla sua natura di lingua franca, oltre al vantaggio di essere la lingua dell’informatica e dei più importanti operatori on line, sembra costituire una specie di tessuto linguistico comune, adatto alla dimensione transnazionale del nuovo scenario. Tuttavia, al riguardo, mi sembra che vadano segnalate almeno tre cose: la prima è che l’inglese della rete non è un inglese “nazionale” ma una specie di super-inglese caratterizzato da un’ampiezza di spettro che passa dallo slang dei parlanti nativi ai pidgin di utenti non anglofoni e che, tuttavia, producono contenuti in inglese; la seconda è che, proprio per questo motivo, quelli che, tra gli stessi utenti non anglofoni appena segnalati, producono testi esplicitamente letterari non stanno “entrando” nella letteratura inglese; la terza cosa, infine, è che l’inglese è anche la lingua di una delle esperienze fondamentali della cultura globalizzata, cioè l’esperienza della merce, e come tale entra senza scosse nei circuiti della produzione on line.

5.

La quinta e ultima dimensione che vorrei sottolineare è quella della gratuità e, comunque, dell’accessibilità in genere. Come segnalavo più sopra, in rete sono presenti parecchi servizi gratuiti che offrono a chiunque la possibilità di aprire un blog e, allo stesso modo, segnalavo come l’interfaccia per la produzione dei contenuti sia estremamente accessibile.

Questo, di nuovo, è un aspetto che ritroviamo in molte realtà della rete ed è caratteristico del cosiddetto Web 2.0, i cui servizi sono progettati per avere la maggior facilità possibile di utilizzo (e sono, in genere, disponibili gratuitamente). Grazie a questi due aspetti, oltre ad una specie di desiderio diffuso di costituire una proprio soggettività nella rete (che però richiede un discorso specifico e che esula da questa sede), si può forse spiegare lo sviluppo impressionante di Internet e la sua capillare diffusione nei termini di “utenza domestica”.

Rispetto all’idea di letteratura a cui facciamo in genere riferimento, questa ultima dimensione ripresenta, in parte, un aspetto che si è già visto, ovvero il fatto che la produzione on line indebolisce i meccanismi di rarefazione che stanno alla base della “buona letteratura”: la gratuità e l’accessibilità si sostituiscono, in un certo senso, alle scelte editoriali ed all’apprendistato letterario. Ma mi sembra che ci sia anche un altro aspetto che questi due elementi mettono in luce e, cioè, che il fenomeno della produzione testuale on line rappresenta, in effetti, quello che potremmo chiamare il passaggio della letteratura al “circuito della comunicazione”, facendo in modo che la letteratura accetti uno degli elementi cardine della comunicazione, ovvero l’accessibilità, appunto.

Sul versante specifico della gratuità, poi, mi sembra che possano essere fatte almeno altre due considerazioni. La prima è che la gratuità della rete è una specie di mezza verità, cioè una verità non completa ma pur sempre vera. Quello che è vero è che milioni di individui per cui non era previsto un ruolo come “produttori di senso” possono accedere alla rete e costituirsi come soggetti al suo interno, esprimendosi, entrando in relazione, producendo contenuti e così via, senza che la cosa gli costi più del prezzo della connessione (si noti che, rispetto ad un modello culturale basato su pochissime fonti di significato e tantissimi fruitori-spettatori, ovvero quello corrente, questo passaggio non è di poco conto). La parte che manca è che, come nel caso della televisione si offre intrattenimento gratuito a “teste” che vengono poi vendute agli sponsor, così nel caso della rete si offre agli utenti la possibilità gratuita di mettere on line dei contenuti, che attireranno altri utenti che a loro volta produrranno la loro parte di dati, e si vende il traffico, che tutto questo genera, di nuovo agli sponsor.

La seconda considerazione riguarda più da vicino il testo letterario. Gli aspetti economici (non solo in termini industriali, come nel caso dell’editoria moderna, ma anche semplicemente in quelli di risorse disponibili, di possibilità di trasformarle, etc.) hanno un’influenza specifica sulla produzione letteraria. Negli ultimi due secoli, addirittura, sono stati uno degli elementi interni al dibattito critico e teorico, avendo un peso nella formulazione di idee come “arte per l’arte”, “best-seller”, “popolarità” e così via.

Per rendersi conto dell’importanza della dimensione economica nella produzione letteraria, d’altra parte, basterebbe pensare, tra le altre cose, alla lettura benjaminiana di Baudelaire, alla teoria dell’avanguardia sul mercato come anche alle difficoltà che incontra la piccola e media editoria ed alla gestione dei titoli sugli scaffali, nelle librerie oppresse dalle spese di magazzino. Ora, il “pubblico letterario” della rete non è un pubblico pagante e il testo messo a disposizione non è una merce (la merce, come si è detto, è piuttosto l’intero ciclo di produzione/fruizione ma, chiaramente, questo è ancora un altro discorso). Per la prima volta da due secoli, almeno, il testo letterario è in grado di sfuggire al feticcio della merce ed al suo valore di scambio. Non solo: per la prima volta dall’invenzione della scrittura come tecnologia per l’immagazzinamento dei dati, le piattaforme a disposizione sono talmente capaci e di costo così ridotto che non impongono virtualmente nessun tipo di considerazione sulla selezione, la promozione, il mantenimento dei testi. Mi sembra giusto, anche se forse ovvio, sottolineare che non si tratta di un’isola di Utopia quella raggiunta e, tuttavia, non posso fare a meno di notare la differenza tra lo scenario che si sta costituendo e quello, invece, a cui siamo abituati.

Questi mi sembrano gli aspetti da prendere in considerazione nell’affrontare la questione della produzione letteraria on line, dei blog letterari e così via. Concludo tuttavia, segnalando che, a ben vedere, sono probabilmente aspetti di cui tenere conto ormai in una qualunque discussione sulla letteratura oggi, data la sempre maggiore diffusione della rete nella vita quotidiana e, quindi, negli usi degli autori e soprattutto dei lettori

domenica 7 dicembre 2008

Ilio

Il comandante guarda i volti fieri della truppa schierata davanti a lui. Sono dieci uomini in tutto, la pelle color d'ebano, il fucile sul fianco e lo sguardo attento. Una volta ancora ripete le ultime istruzioni prima dell'assalto. Nella stanza dietro al cortile battutto dall'implacabile sole d'Africa, l'altro apostolo venuto da Trieste sta scrivendo l'ultima pagina della Voce degli Abissini. Il ciclostile è pronto per stampare una serie di articoli di incitamento alla lotta.

- Questo è lo schema definitivo d'attacco. Dobbiamo sorprendere la guardia che passa per questa strada ogni giorno e fa lo stesso giro con il camion guidato dagli ufficiali. L'importante è far partire i primi colpi dall'alto sia davanti che dietro contemporanemente. Penseranno di essere stati accerchiati e che siamo un bel po' di più a sparargli addosso.

Il comandante Ilio sorride e si passa una mano sulla fronte imperlata di sudore e sul colletto della camicia altrettanto bagnata dal caldo e dall'umidità delle tre di pomeriggio. Alla truppa davanti a lui, invece, il calore sembra non fare nessunissimo effetto. Sono ragazzi, alcuni sono giovanissimi, figli di Axum, la capitale religiosa d'Etiopia, sfregiata e stuprata dalle squadracce del generale Graziani. Alcuni di loro si sono arruolati nella resistenza perchè hanno perso la famiglia durante i primi feroci giorni di occupazione. Ilio guarda di nuovo il loro volto. Sorridono. Sono pronti all'attacco. Sorridono e nascondono il dolore di una famiglia bruciata viva dai gas dell'Iprite, delle madri soffocate dalle bombe chimiche sganciate dall'alto, dai fratelli massacrati con le baionette.
Ilio è arrivato in questo posto lontanissimo e sperduto del continente nero per combattere un'altra battaglia di quella guerra che combatte da quando era bambino e lavorava nei cantieri navali di Livorno. Il nemico è sempre lo stesso ed ha la camicia nera.

- Ilio, questa la devi proprio sentire!
Il triestino si avvicina al compagno con in mano il telegramma che giunge da Addis Abeba.
- Sei diventato Vice-Imperatore!
- Ma che stai dicendo?
- E' proprio così, leggi anche tu. Sua Eccellenza il Ras Tafari Makonnen, Imperatore di Etiopia, ti nomina suo vice per i meriti acquisiti sul campo ed il valore mostrato nel combattere i comuni nemici del nostro popolo sofferente. Vice Imperatore...
Il triestino fa un gesto plateale ed ironico di riverenza al compagno chinandosi fino a terra per poi scoppiare a ridere fragorosamente.
- Vabbene, caro, puoi anche alzarti...su, su, coraggio
Scherza Ilio fingendosi accondiscendente e altezzoso.
- Vabbene, veniamo a noi. Imperatori o meno, le pallottole da sparare ai fascisti sono sempre le stesse, e vediamo di farle arrivare a destinazione.

Il comandante guarda i suoi uomini e lascia un sospiro. Si rimette il cappello e va a prendere il suo fucile.

giovedì 4 dicembre 2008

Nun c'è problema

La telefonata arriva durante il viaggio, dopo che siamo usciti dall'autostrada.
- Dice che li ha fermati la Finanza.
- Ma gli hanno trovato il fumo?
- Si. Veramente lo hanno buttato dalla macchina quando hanno visto il posto di blocco, però i finanzieri li hanno sgamati. Comunque non gli hanno fatto il verbale e li hanno lasciati andare.
Questa non ci voleva. Ora ci tocca camminare in culo alle macchine davanti per non farci vedere e fermare pure a noi. Che da stamattina ci stiamo fumando qusto polline spettacolare pieno d'olio che pare che avanti a squagliare hanno fatto la frittata. Vabbè. Per un pelo non facciamo un incidente.
Comunque eccoci qua, destinazione raggiunta. Primo posto di blocco dei carabinieri. Documenti, biglietto, tutto in regola. Nel pullmino affianco ci sta uno drogatissimo tutto esagitato che fa di tutto per farsi arrestare, ma non ci riesce. Ce lo troviamo all'ingresso dello stadio pure a lui. Questa volta non possiamo entrarci con la macchina, nello stadio, che ci mettono su degli autobus scassatissimi e ci portano in corteo. Quando arriviamo e passiamo per i tornelli non è che sia un granchè, con queste inferriate posticce sui gradoni della curva. Solo così potevano fare la serie B questi qua, arrepezzando uno stadio a norma senza criterio, che non si vede un cazzo dell'altra porta.
Fa caldo. Iniziamo. I nostri sono in maglietta bianca. Passa poco e un tiro da lontano fuori dall'area si alza forte e poi si abbassa d'improvviso a fianco al loro portiere che rimane immobile e lo fa passare. E' gol. Non ne vedevo uno da Modena. E poi quello era un rigore. E' gol, non ci credo. Sulle inferriate quasi cadiamo. Passa poco e un nostro contropiede va a segno, il sette scarta ed arriva davanti al portiere. Fa un tiro da sotto col collopiede che si stampa nella rete. Non ci credo. Ne abbiamo fatti due. Venti minuti e sono due. Fa ancora caldo ma iniziano a cadere le prime gocce di pioggia ed un venticello affiora da dietro le spalle.
Poi iniziano loro. Stanno là fuori che non si vede un cazzo. Calcio d'angolo. Gol. Un boato in lontananza. Che nervi. Punizione. Ribattuta e gol. Ci hanno già presi, cazzo. Passa poco e ce ne fanno un altro. Un boato di nuovo in lontananza. Diluvia. Non ci sono ombrelli. Non c'è riparo. Nell'intervallo cerchiamo una tettoia, una cazzo di tettoia che non c'è. Giro per le inferriate della curva e non la trovo, nessuno la trova. Siamo fradici. Mi levo il giubbino, fa freddo ma è meglio così che è inzuppato. Sto sotto le inferriate mentre piove, sto sui gradoni a filo del campo e vedo il loro contropiede. Un altro gol. Un altro tiro ancora e gol. Sono cinque. Uno dei nostri si fa cacciare, sono sei. Ancora boati in lontananza e microfoni dalla tribuna col nome del giocatore loro. Si comincia a cantare che a noi non ce ne frega proprio niente. Siamo comunque i migliori, o almeno così è che la pensiamo. Pure io, nel pullmann che ci riporta al parcheggio, mentre cantiamo, caccio fuori dal finestrino il pollice in alto in segno di vittoria mentre sulla strada ci fanno gestacci. Siamo i più forti. Nun c'è problema.

mercoledì 3 dicembre 2008

Tortuga





La "tortuga" di evangelisti: pirati analogici e hacker digitali


Rogério de Campos pensò che la sua ora fosse venuta. Il ponte del Rey de Reyes somigliava al pavimento di un mattatoio. Il sangue scorreva a rivoli o si espandeva a macchie, tra gli alberi abbattuti, i fasci di vele e gli intrichi di sartiame reciso… Inizia così Tortuga (Mondadori / Euro 16,50 / pp.316), il nuovo romanzo di Valerio Evangelisti, in libreria dal 4 novembre.

Dal creatore della celebre saga dell’inquisitore Eymerich, una storia di pirati, vascelli e avventure sugli oceani. Un romanzo che va alle origini della pirateria «analogica», ma che fornisce elementi per analizzare e comprendere ciò che accade oggi nell’Era informatica.
Quella che racconta Evangelisti è una grande storia di avventura «Volevo condensare alcuni aspetti semrpe presenti nell’essere umano, nei suoi diversi periodi storici: la strumentalizzazione della violenza operata dai potenti, gli interessi commerciali che producono la guerra, la costante tendenza (incombente) alla barbarie, la difficile divisione tra bene e male».
Nel viaggio attraverso gli occhi di Rogério, sfila l’umanità senza regole dei Fratelli della Costa, bucanieri che - nel XVII secolo - imperversavano sulle loro velocissime navi nei mari di mezzo mondo, assaltando i vascelli che incrociavano, per depredarne le stive e spesso affondarli.
«Tortuga era un’isola dei Carabi (vicino Haiti ndr), per molti decenni fu la capitale della Filibusta». I pirati del romanzo, al servizio della corona francese, predano le navi nemiche (olandesi, spagnole, inglesi) che trasportano merci e schiavi, rivenduti o sacrificati senza troppe questioni. Evangelisti svela l’altro lato della pirateria, quella a servizio dei governi, una comunità solo apparentemente libera, in realtà strumento dei potenti «A Tortuga finivano i ribelli, gli emarginati, gli evasi, o i marinai che rifiutavano il servizio militare. Una masnada di irregolari di tutta Europa che, per qualche ragione, non si era adattata alle leggi, e che andava in quel terreno franco, all’incrocio delle rotte di galeoni carichi di ricchezze».
I pirati analogici «vivevano di predazione e una sorta di forma repubblicana di auto-governo: eleggevano i capi, i loro erano comandanti revocabili e, se non reputati all’altezza, passibili di pena di morte, avevano una vita sessuale decisamente libertina. Ma la loro libertà era un’apparenza concessa: i pirati furono ampiamente manovrati dalla potenze, la comunità di Tortuga fu a servizio della Francia ma quando non servì più al Re fu rasa a zero, lo stesso accadde ai pirati della Giamaica a servizio dell’Inghilterra».

«I rapporti fra pirati erano frutto di relazioni gerarchiche, non tutti godevano degli stessi diritti (i mozzi erano le «donne di bordo»). Non bisogna farsi troppe illusioni sulle isole autonome, e questo vale per tutte le comunità che sembrano rette da democrazie…». È una evoluzione naturale «c’è stato un ‘68 anche in Giappone, breve ma intenso, successivamente i leader del movimento vennero cooptati dai governi, questo vale anche per la Rete: molti ribelli informatici sono cooptati dalle Corporation», è la logica dei rapporti di forza che Evangelisti vede, come sempre con ciniscmo e lucidità «un hacker moderno si ritiene libero e invece può essere funzionale alle multinazionali». Evangelisti continua nel parallelo pirati analogici-digitali «I pirati vivevano in un’area, il loro impiego andava a beneficio di uno e a danno di altri, allo stesso modo nella pirateria informatica non si è garantiti di essere liberi, perché il sistema fa parte di un’economia. Da quando esiste l’Indice dei titoli informatici, non si possono fare troppe battaglie contro…». La visione dell’autore rimanda quindi alle attuali questioni tra hacker, aperte da Phrack (l’autorevole e-zine), in cui la comunità dei Pirati informatici si interroga sull’attuale libertà della propria etica, ormai spesso al servizio delle multinazionali. «Sono rari i casi di hacker che riescono a violare siti governativi, o economici: l’ordinaria pirateria non sconvolge né la società né la rete, e abbiamo visto che, quando un governo vuole, riesce addirittura a bloccare il Web».
In Tortuga, immagini crude e scene di lotta senza pietà evocano le aspre guerre che, anche oggi, si combattono in tutto il mondo, seppur con tecniche/tecnologie differenti. Nel romanzo, le navi assaltate e gli equipaggi decimati non sono altro che emblemi colati a picco delle altre potenze in gioco. La storia di Evangelisti intreccia nomi ed eventi della grande Storia, attinge dati e simboli del periodo del Colonialismo, epoca di vantaggi commerciali strappati a forza - in economia, noti come logica della previous accumulation.
«La mia è una visione del mondo che parte dalla concezione homo homini lupus: la natura dell’uomo è l’animalità, il potere, o i personaggi con istinti totalitari, devono giustificare la propria condotta e allora ci costruiscono sopra un’ideologia», anch’essa da esportazione. «Gli –ismi servono a mantenere perenne ciò che è mutabile, è così che le ideologie pensano di incarnare la fine della storia: nei secoli, ognuno ha ritenuto di essere il coronamento di un’epoca, un’ideologia è automaticamente autoritaria, anche il liberalismo lo è nella misura in cui si considera come punto finale della contemporaneità. Invece il capitalismo di quest’anno è diverso da quello di 10 anni fa».
Dal traffico marittimo all’informatico, quale è il futuro del Web? «Una volta quasi tutto era gratuito, ora no, forse è un’evoluzione indispensabile propria allo spirito di frontiera dell’uomo, ciò che succederà forse sarà una nuova fase di Internet, una diversa sua modalità». Rischi e questioni che, oggi, più che mai sono aperte, acque che aspettano di essere regolamentate. «Le forze in campo oggi sono tante, ma non è venuta meno la logica delle grandi potenze, rispetto al passato è più palese il rapporto costi/benefici: si parte per una guerra predatoria ma ci si accorge che magari è costata troppo e allora si va verso la sconfitta economica più che militare, è successo all’Unione Sovietica con l’Afghanistan, accade ora agli Stati Uniti e al mondo occidentale: nel tempo l’istinto predatorio è rimasto: ciò che può trattenerlo è la fissazione di regole che viceversa, quando mancano, permettono ad alcuni di non stare ai patti, come dopo l’11 settembre». La situazione può cambiare attraverso un codice condiviso «gli -ismi non si sopprimono, si devono riequilibrare, a scala locale e internazionale, nel Web con la Netiquette (l’insieme delle regole di interazione tra utenti su Internet ndr)». Le Nazioni Unite «sono indebolite, va ripristinato l’quilibrio infranto che anche se in modo imperfetto garantisce un equilibrio in tutte le zone del mondo. Le battaglie si combattono con regole precise, così nella rete andrebbe diffusa una cultura dell’auto-regolamentazione».
Il senso ultimo dei pirati? «sono una forma di guerra e un’espressione dell’idea di conflitto, un caso particolare che la guerra, in generale, assume in un certo momento: la pirateria è una battaglia combattuta, un concetto non applicabile tanto alla pirateria informatica di basso livello quanto all’alto livello, che poi viene istituzionalizzato, o conviene a qualcuno: si nota chiaramente come le forme conflittuali che si sviluppano automaticamente nelle comunicazioni via rete scadano spesso nell’insulto: è una sindrome da «Isola dei famosi» tipica delle comunità chiuse dove si esasperano le concorrenze». Ciò accade perché «le community vaste si organizzano per tribù e nella grande dimensione sfugge il controllo, per me internet è positivo, ma ci sono dinamiche che vanno esplorate meglio: la psiche collettiva origina effetti imprevisti, che nel Web si concretizza in vantaggi economici. Così spesso le community fanno l’interesse di qualcuno che neanche si conosce». Per contro «i pirati erano consapevoli di fare gli interessi dei governi ed era un atteggiamento senza inutili infingimenti: festeggiavano il compleanno del re di Francia, combattevano una guerra per conto terzi, con una vita breve e trasgressiva, senza proporsi una ribellione aperta», ciò che li differenziava «era il cinismo estremo, più che la sola crudeltà: per loro tutto era denaro, una posizione paradossalmente più onesta», la posizione dell’autore prende così, in ultima analisi, anche il rapporto dell’uomo con l’autorità «Richelieu non era un cinico ma un uomo del Potere; anche Eymerich (il domenicano, personaggio della saga forse più conosciuta di Evangelisti ndr) è un idealista ma è comunque un uomo di potere, si ribella per imporre regole sue». Così è la coscienza delle regole e la loro conoscenza-applicabilità a fare la differenza «il mio rapporto con l’autorità è di insofferenza ma credo non si possa contestare un sistema da fuori: un eretico difficilmente può sfidare l’autorità, Eymerich agisce per conto e nome della Chiesa, ma ci riesce proprio perché si oppone all’interno di regole forti della stessa istituzione che le impone».
Tortuga di Valerio Evangelisti svela poi alcuni piccoli importanti dettagli della storia della Canaglia: anche La Bamba, che Ritchie Valens fece appena in tempo a rendere celebre negli anni ‘60, è una canzone pirata che viene da Veracruz, Messico: «i pirati la cantavano in modo lento (à la «Quindici uomini…e una cassa di rhum»). Si è scordato il lato musicale della pirateria, in cui si andava all’attacco facendo musica, suonando i tamburi e le spade, in modo rumoroso, anche quella era una forma di lotta trasgressiva». Tutte forme di guerriglia non convenzionale, «la bandiera pirata, la Jolie rouge, la Bella rossa, che poi diventò nera - il Jolly Roger – che serviva a mettere paura: il teschio con le tibie incrociate che ogni capitano adattava a sé, segno e simbolo del messaggio ai nemici (i Fratelli della Costa avevano il teschio con la clessidra, diceva: «il vostro Tempo è finito»).

tratto da http://maurogarofalo.nova100.ilsole24ore.com/2008/10/la-tortuga-di-e.html