martedì 9 dicembre 2008

Blog e letteratura

di Gherardo Bortolotti

Vorrei fissare alcuni appunti che, mi sembra, potrebbero servire da base per una discussione sulla letteratura on line e, più specificatamente, sulla letteratura ed i blog.

Un blog, in poche parole, è una pagina web che viene sistematicamente aggiornata con nuovi contenuti. Il visitatore di un blog, quando arriva sulla pagina, vede in testa alla stessa l’ultimo contributo inserito, mentre i precedenti sono disposti sotto, in ordine inverso di apparizione. I contributi, o post, sono in genere testuali anche se possono presentare video, audio in file o in streaming, immagini e così via.Ogni post è indicizzato per data, cioè è legato al momento in cui è apparso on line. Inoltre, i post possono essere indicizzati per mezzo di tag, piccole espressioni in linguaggio naturale che cercano di dare conto del contenuto del post (per esempio, il post che recensisce un libro di fantascienza sarà taggato con “recensione”, “fantascienza”, il nome dell’autore, il titolo del libro e così via).I post, poi, prevedono uno spazio per i commenti, cioè un luogo in cui i visitatori possono dare un feedback immediato rispetto al contenuto proposto o rispetto ad altro. Infine, un blog presenta in genere una colonna dedicata ai link verso altri blog o, comunque, verso altre risorse on line - il cosiddetto blogroll.

Questo, diciamo, è l’esterno di un blog, quello che vede il visitatore. Il gestore del blog, cioè il blogger, vede le stesse cose ed in più ha accesso ad un’interfaccia di gestione. Questa interfaccia (il back-office, come viene definito di solito), comprende almeno due cose: un programma per gestire i contenuti del database che compone il blog (quelli da mettere on line, quelli già on line, etc.) ed un programma di videoscrittura, non troppo diverso da un applicativo come Microsoft Word, per esempio, che non richiede nessuna particolare conoscenza di informatica (HTML, scripting o altro).

Un blog può essere aperto da chiunque, dato che sono presenti in rete numerosi provider gratuiti (Splinder, Blogger, Blogsome, Wordpress.com, etc.), alcuni dei quali mettono a disposizione dei software veramente di ottima qualità, e sembra che in effetti siano proprio tantissimi quelli che decidono di aprirne uno. Technorati, motore di ricerca focalizzato sui blog, ne conta a tutt’oggi quasi 113 milioni (una cifra che non si afferra con facilità - e che, per altro, richiederebbe alcune precisazioni - ma che, in effetti, può essere apprezzata se si pensa che comporta qualcosa come una ventina di nuovi post al secondo).

Ora, a partire da questa veloce e schematica descrizione di un blog (ovviamente, rispetto al modello che ho illustrato, si possono trovare parecchie eccezioni, e differenze, passando da un’implementazione all’altra) mi sembra che si possano individuare le “dimensioni di base del blogging” e metterle in relazione con la letteratura - o, meglio, con l’idea che abbiamo di letteratura.

1.

La prima dimensione è, certamente, quella della produzione di contenuti. Della massiva produzione di contenuti, a ben vedere, dati i numeri del fenomeno. Il blog in effetti, se si basa su qualcosa, si basa sul continuo aggiornamento del proprio database con nuovi post, nuovi testi, nuove immagini e così via. In un processo virtualmente inesauribile, il blog accumula i propri elementi, validi in quanto ulteriori tratti di quello stesso processo, creando una sommatoria di singole istanze che non prevede, strutturalmente, una fine.

Questo aspetto, che non è specifico dei blog ma che è un tratto caratteristico del cosiddetto Web 2.0 (ma, a ben vedere, anche di tutta le rete), mi sembra introdurre una forte novità, se messo in relazione all’idea che abbiamo in genere della letteratura.

Di solito, infatti, quando si parla di letteratura si intende la “buona letteratura”, ovvero si intende il risultato di una serie di filtri, di meccanismi di rarefazione, selezione, scarto e promozione, che produce un canone, più o meno condiviso, di testi eccellenti. La stessa scrittura letteraria la si intende in genere come una specie di “meccanismo del levare”, sia quando viene intesa in senso classicista che in senso manierista.

Il blog, invece, propone un modello basato sull’aggiunta in cui, per riprendere un’opposizione da manuale, conta più il contenuto della forma, e la cui modalità è l’accumulazione e non la selezione. Il blog si costituisce su quelle unità di contenuto che sono i post e non importa se i testi (o le immagini, i video, etc.) siano il frutto di una cura particolare, dell’elaborazione di uno stile, di una retorica specifica. La forma generale dell’elenco, che lo innerva, riporta (ma, si noti, non necessariamente riduce) il valore di qualunque suo elemento a quello della mera unità costitutiva.

In qualche modo, questo processo di accumulazione può ricordare l’accumularsi delle merci ma, in effetti, c’è una differenza, a cui ho appena accennato: se la merce è “il sempre-uguale in grandi masse” - secondo l’espressione di Benjamin -, i contenuti della rete sono singolarmente irresolubili e valgono piuttosto come il sempre-diverso in grandi masse. Si tratta certo di una diversità fatta per lo più di particolari minimi, scarti millimetrici, peculiarità marginali, eppure permette al singoli contenuti di avere un valore autonomo e, proprio per questo, valere come elementi dell’accumulazione.

2.

La seconda dimensione è quella temporale. Come si è detto, infatti, il blog si sviluppa lungo l’asse del tempo, secondo le vicende dei suoi aggiornamenti; i post sono indicizzati per data e la pagina presenta i contenuti in base alla loro apparizione.

Di nuovo, questo aspetto sembra rappresentare una novità dato che, in genere, il testo letterario gode di una specie di condizione extra-storica, per la sua natura finita e sfruttando l’apparente trascendenza del linguaggio. Sulla separatezza del testo letterario, in effetti, si sono costituite diverse questioni teoriche e, per esempio, uno dei problemi che si è posta spesso la letteratura è come possa il testo stesso “entrare” nella realtà del lettore.

Il blog, invece, non esiste in una sua completezza extra-storica, dato che non è mai finito (essendo, al massimo, interrotto) e, per di più, dato che la storia, il tempo in cui si dipana, è lo stesso del fruitore, addirittura con le stesse date, lo stesso calendario. Questa è certamente una condizione nuova per il testo letterario, diversa anche da quella delle pubblicazioni periodiche (del feuilleton, per esempio). Il fatto è che l’attività di chi produce i contenuti, e quindi la “storia” del testo/blog, è tracciabile, non viene più rimossa dalla completezza dell’opera (si noti: le date dei post possono essere manipolate e la tracciabilità che assicurano non è necessariamente affidabile, eppure questo non cambia la nuova condizione in cui il testo viene messo).

Il testo letterario, inoltre, funziona anche al suo interno come una sorta di trappola temporale. In effetti, non si limita ad apparire come un feticcio extra-storico ma basa questa sua pretesa sulla capacità che ha di introiettare la dimensione temporale. La letteratura, come è noto, cerca di chiudere in sé lo scorrere del tempo, sfruttando i meccanismi della narrazione, l’ipostasi della voce lirica, la circolarità della scrittura/lettura.

Il blog, invece, non sembra premettere questo. Credo sia abbastanza facile notare, per esempio, che leggere un testo letterario “normale” pubblicato in un post richiede un’astrazione maggiore e, in effetti, la ragione sembra proprio essere questa temporalità esibita del blog. Chiaramente, anche la produzione su blog cerca di gestire il tempo, di catturarne lo scorrere e l’entropia, ma l’impressione è che, alla circolarità della scrittura/lettura, preferisca una specie di strategia da “capsula del tempo”, da reperto archeologico, da object trouvé.

3.

La terza dimensione, ancora, è la dimensione sociale. Nella descrizione precedente, ho cercato di darne conto indicando la presenza dello spazio per i commenti, in cui questa socialità si esplica, ma in effetti la si può vedere anche nel blogroll e, in modo più peculiare, nei tag. Questa dimensione, altro aspetto tipico del Web 2.0, è in genere riportabile alla nozione di comunità che si crea attorno al blog stesso, una comunità simile a quella che si crea attorno ad un testo letterario ma che possiede, a ben vedere, dei tratti caratteristici molto marcati.

Nella comunità del blog, per prima cosa, alcuni ruoli ed alcune gerarchie, tipici della comunità che si crea attorno al testo letterario, si indeboliscono parecchio. Per quel che riguarda i ruoli si può notare, dato che i visitatori producono a loro volta contenuti attraverso i commenti, che la distinzione tra chi scrive e chi legge, tra produttore di testo e fruitore, viene resa molto meno netta, almeno dal punto di vista della “natura” del blog (che, come si è detto, sembra dare priorità al contenuto, a prescindere da altre considerazioni). A fronte di questa debolezza nella distribuzione dei ruoli, le gerarchie di valore che in genere se ne derivano (per esempio la maggiore “importanza” dell’autore) risultano a loro volta indebolite. Non solo: l’allentamento della distinzione tra spazio pubblico e spazio privato, tipica della rete (nella realtà virtuale, infatti, non si è mai collocati completamente fuori dal proprio privato pur frequentando luoghi non-privati), e l’immersione del blog nel tempo del fruitore, danno a loro volta un tono peculiare alla comunità del blog.

Un’altra caratteristica di questa comunità è la sua natura para-tribale, per così dire. Questa è forse il tratto meno immediatamente ovvio ma che, pure, meriterebbe la maggiore attenzione, dato che sembra costituire una specie di nuovo modulo socio-culturale. Quello che intendo è che siamo abituati a pensare che un testo letterario riesca a riunire attorno a sé o un pubblico generico e generalista oppure una porzione determinata di quel pubblico. Nel primo caso, grazie alle sue supposte capacità di cogliere lo “spirito” della gruppo in senso lato in cui si colloca (la nazione, il popolo, la gente); nel secondo, grazie alla sua capacità di targettizzare il pubblico generico e ricavarsi la sua nicchia.

Quello che succede nel caso del blog, invece, sembra nettamente diverso. La comunità a cui dà luogo non è quella generalista perché la struttura di distribuzione della rete non prevede più una o più fonti maggiori di informazione che si rivolgono immediatamente ad un bacino di utenza generalista ma, piuttosto, si costituisce su reti locali di distribuzione, integrate ad un livello superiore in reti più ampie (non per niente Internet è la “rete delle reti”). Non è nemmeno una comunità targettizzata, però, perché la meccanica del target è esclusiva (almeno dichiaratamente) e legata a caratteri formali del prodotto, mentre il blog, come si è visto, sembra disinnescare la dimensione formale e per di più genera comunità inclusive se non, in un certo senso, schizofreniche.

Per definire la comunità generata dal blog, quindi, uso il termine para-tribale, anche se lo ritengo inadeguato. Non è adeguato perché, come ho appena segnalato, le comunità on line, anche se tendono ad una specie di identità settaria, in verità non se lo possono permettere: i loro componenti fanno parte, in genere, di più comunità contemporaneamente e questo dà luogo ad una specie di schizofrenia che contrasta con l’identificazione tribale (e, d’altra parte, lo stesso sistema di link in cui il blog si colloca, rinvia più ad una specie di federazione che ad una tribù). Tuttavia, l’espressione coglie un aspetto feticistico che mi sembra ricorrente nelle comunità legate ai blog e che, come ho già accennato, è esemplificato dalla pratica del tagging. Le comunità on line, infatti, sembrano spesso costituirsi attorno ad alcuni termini, alcune espressioni, per esempio quelle costituite dai tag o dalle parole-chiave inserite nei motori di ricerca. Anzi, molto probabilmente, le comunità più numerose a cui i blog danno luogo non sono tanto quelle esplicite dei commentatori o dei blog linkati ma quelle comunità puntiformi, istantanee e intermittenti che si costruiscono nelle successive “adunate”, di individui che ricercano determinate espressioni, attorno a quelle espressioni ed ai testi che le contengono.

4.

La quarta dimensione è la dimensione transnazionale. Anche questa è una caratteristica della produzione on line in genere e la si deriva dalla natura stessa della rete che, se pure ha un accesso locale, in verità porta immediatamente ad un circuito globale. Questo implica un cambiamento di scala ed un bacino di utenza staccato dalla dimensione nazionale. Chiaramente, continuano a funzionare meccanismi di raggruppamento, come le aree linguistiche o le affinità culturali, e tuttavia sono ridotti a elementi di articolazione e non a princìpi fondanti.

La differenza che introduce questa dimensione, rispetto ai termini secondo cui siamo abituati a pensare la letteratura, è di una certa rilevanza. In effetti, la letteratura è organizzata in termini di tradizioni nazionali. Anzi, si può dire che la letteratura viene identificata con l’insieme dei canoni nazionali, e cui mi riferivo più sopra, messi eventualmente in relazione attraverso studi comparativi e traduzioni. Il costrutto “canone nazionale” è talmente forte che i singoli testi costruiscono una parte sostanziale della proprio individualità a partire dalla propria collocazione nel dibattito nazionale, in una rete di rimandi filologici e tematici, contribuendo a loro volta a farlo procedere nella sua crescita.

Il riferimento all’area geografica, per altro, non ha solo un côté culturale ma si realizza nella struttura stessa dell’industria editoriale che ha una sua distribuzione basata sulle aree linguistiche e sui bacini di utenza nazionale. È vero che, soprattutto negli ultimi decenni, si è sviluppata una specie di produzione standard internazionale, basata sulla pubblicazione massiccia di traduzioni e incarnata in una specie di canone globale di best-seller e classici contemporanei; tuttavia, questa situazione sembra piuttosto un’implementazione avanzata (maggiormente dinamica) del modello a più canoni che indicavo in precedenza.

Lo scenario in cui ci si trova con la produzione on line è diverso, per almeno due motivi. Il primo è che il meccanismo di distribuzione, come si è detto, è di portata immediatamente globale. Questo non comporta un mero allargamento del bacino di utenza ma un diverso ambiente, una nuova piattaforma, comune e senza caratterizzazione nazionale, in cui la produzione e la fruizione di testi vengono a trovarsi. In questo ambiente - in cui i meccanismi di filtro, la forza normativa e le risorse interpretative fornite dal canone si indeboliscono - i testi stranieri, in verità, appaiono meno stranieri anche se in qualche modo più anodini (oppure, e meglio, meno stranieri proprio perché più anodini). Il secondo motivo è che gli apparati di mediazione (in primis: le traduzioni e le edizioni straniere) che permettono la comunicazione tra i canoni sono, in un certo senso, messi tra parentesi (ed in questo ha sicuramente un peso significativo quell’indebolimento dei ruoli, di produttore e fruitore, sottolineato più sopra) a favore di un rapporto diretto con i testi di provenienza estera, reperibili on line ed immediatamente fruibili.

Una parte fondamentale, in questo passaggio, è rivestita senza dubbio dall’inglese che, grazie alla sua natura di lingua franca, oltre al vantaggio di essere la lingua dell’informatica e dei più importanti operatori on line, sembra costituire una specie di tessuto linguistico comune, adatto alla dimensione transnazionale del nuovo scenario. Tuttavia, al riguardo, mi sembra che vadano segnalate almeno tre cose: la prima è che l’inglese della rete non è un inglese “nazionale” ma una specie di super-inglese caratterizzato da un’ampiezza di spettro che passa dallo slang dei parlanti nativi ai pidgin di utenti non anglofoni e che, tuttavia, producono contenuti in inglese; la seconda è che, proprio per questo motivo, quelli che, tra gli stessi utenti non anglofoni appena segnalati, producono testi esplicitamente letterari non stanno “entrando” nella letteratura inglese; la terza cosa, infine, è che l’inglese è anche la lingua di una delle esperienze fondamentali della cultura globalizzata, cioè l’esperienza della merce, e come tale entra senza scosse nei circuiti della produzione on line.

5.

La quinta e ultima dimensione che vorrei sottolineare è quella della gratuità e, comunque, dell’accessibilità in genere. Come segnalavo più sopra, in rete sono presenti parecchi servizi gratuiti che offrono a chiunque la possibilità di aprire un blog e, allo stesso modo, segnalavo come l’interfaccia per la produzione dei contenuti sia estremamente accessibile.

Questo, di nuovo, è un aspetto che ritroviamo in molte realtà della rete ed è caratteristico del cosiddetto Web 2.0, i cui servizi sono progettati per avere la maggior facilità possibile di utilizzo (e sono, in genere, disponibili gratuitamente). Grazie a questi due aspetti, oltre ad una specie di desiderio diffuso di costituire una proprio soggettività nella rete (che però richiede un discorso specifico e che esula da questa sede), si può forse spiegare lo sviluppo impressionante di Internet e la sua capillare diffusione nei termini di “utenza domestica”.

Rispetto all’idea di letteratura a cui facciamo in genere riferimento, questa ultima dimensione ripresenta, in parte, un aspetto che si è già visto, ovvero il fatto che la produzione on line indebolisce i meccanismi di rarefazione che stanno alla base della “buona letteratura”: la gratuità e l’accessibilità si sostituiscono, in un certo senso, alle scelte editoriali ed all’apprendistato letterario. Ma mi sembra che ci sia anche un altro aspetto che questi due elementi mettono in luce e, cioè, che il fenomeno della produzione testuale on line rappresenta, in effetti, quello che potremmo chiamare il passaggio della letteratura al “circuito della comunicazione”, facendo in modo che la letteratura accetti uno degli elementi cardine della comunicazione, ovvero l’accessibilità, appunto.

Sul versante specifico della gratuità, poi, mi sembra che possano essere fatte almeno altre due considerazioni. La prima è che la gratuità della rete è una specie di mezza verità, cioè una verità non completa ma pur sempre vera. Quello che è vero è che milioni di individui per cui non era previsto un ruolo come “produttori di senso” possono accedere alla rete e costituirsi come soggetti al suo interno, esprimendosi, entrando in relazione, producendo contenuti e così via, senza che la cosa gli costi più del prezzo della connessione (si noti che, rispetto ad un modello culturale basato su pochissime fonti di significato e tantissimi fruitori-spettatori, ovvero quello corrente, questo passaggio non è di poco conto). La parte che manca è che, come nel caso della televisione si offre intrattenimento gratuito a “teste” che vengono poi vendute agli sponsor, così nel caso della rete si offre agli utenti la possibilità gratuita di mettere on line dei contenuti, che attireranno altri utenti che a loro volta produrranno la loro parte di dati, e si vende il traffico, che tutto questo genera, di nuovo agli sponsor.

La seconda considerazione riguarda più da vicino il testo letterario. Gli aspetti economici (non solo in termini industriali, come nel caso dell’editoria moderna, ma anche semplicemente in quelli di risorse disponibili, di possibilità di trasformarle, etc.) hanno un’influenza specifica sulla produzione letteraria. Negli ultimi due secoli, addirittura, sono stati uno degli elementi interni al dibattito critico e teorico, avendo un peso nella formulazione di idee come “arte per l’arte”, “best-seller”, “popolarità” e così via.

Per rendersi conto dell’importanza della dimensione economica nella produzione letteraria, d’altra parte, basterebbe pensare, tra le altre cose, alla lettura benjaminiana di Baudelaire, alla teoria dell’avanguardia sul mercato come anche alle difficoltà che incontra la piccola e media editoria ed alla gestione dei titoli sugli scaffali, nelle librerie oppresse dalle spese di magazzino. Ora, il “pubblico letterario” della rete non è un pubblico pagante e il testo messo a disposizione non è una merce (la merce, come si è detto, è piuttosto l’intero ciclo di produzione/fruizione ma, chiaramente, questo è ancora un altro discorso). Per la prima volta da due secoli, almeno, il testo letterario è in grado di sfuggire al feticcio della merce ed al suo valore di scambio. Non solo: per la prima volta dall’invenzione della scrittura come tecnologia per l’immagazzinamento dei dati, le piattaforme a disposizione sono talmente capaci e di costo così ridotto che non impongono virtualmente nessun tipo di considerazione sulla selezione, la promozione, il mantenimento dei testi. Mi sembra giusto, anche se forse ovvio, sottolineare che non si tratta di un’isola di Utopia quella raggiunta e, tuttavia, non posso fare a meno di notare la differenza tra lo scenario che si sta costituendo e quello, invece, a cui siamo abituati.

Questi mi sembrano gli aspetti da prendere in considerazione nell’affrontare la questione della produzione letteraria on line, dei blog letterari e così via. Concludo tuttavia, segnalando che, a ben vedere, sono probabilmente aspetti di cui tenere conto ormai in una qualunque discussione sulla letteratura oggi, data la sempre maggiore diffusione della rete nella vita quotidiana e, quindi, negli usi degli autori e soprattutto dei lettori

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