mercoledì 3 dicembre 2008

Tortuga





La "tortuga" di evangelisti: pirati analogici e hacker digitali


Rogério de Campos pensò che la sua ora fosse venuta. Il ponte del Rey de Reyes somigliava al pavimento di un mattatoio. Il sangue scorreva a rivoli o si espandeva a macchie, tra gli alberi abbattuti, i fasci di vele e gli intrichi di sartiame reciso… Inizia così Tortuga (Mondadori / Euro 16,50 / pp.316), il nuovo romanzo di Valerio Evangelisti, in libreria dal 4 novembre.

Dal creatore della celebre saga dell’inquisitore Eymerich, una storia di pirati, vascelli e avventure sugli oceani. Un romanzo che va alle origini della pirateria «analogica», ma che fornisce elementi per analizzare e comprendere ciò che accade oggi nell’Era informatica.
Quella che racconta Evangelisti è una grande storia di avventura «Volevo condensare alcuni aspetti semrpe presenti nell’essere umano, nei suoi diversi periodi storici: la strumentalizzazione della violenza operata dai potenti, gli interessi commerciali che producono la guerra, la costante tendenza (incombente) alla barbarie, la difficile divisione tra bene e male».
Nel viaggio attraverso gli occhi di Rogério, sfila l’umanità senza regole dei Fratelli della Costa, bucanieri che - nel XVII secolo - imperversavano sulle loro velocissime navi nei mari di mezzo mondo, assaltando i vascelli che incrociavano, per depredarne le stive e spesso affondarli.
«Tortuga era un’isola dei Carabi (vicino Haiti ndr), per molti decenni fu la capitale della Filibusta». I pirati del romanzo, al servizio della corona francese, predano le navi nemiche (olandesi, spagnole, inglesi) che trasportano merci e schiavi, rivenduti o sacrificati senza troppe questioni. Evangelisti svela l’altro lato della pirateria, quella a servizio dei governi, una comunità solo apparentemente libera, in realtà strumento dei potenti «A Tortuga finivano i ribelli, gli emarginati, gli evasi, o i marinai che rifiutavano il servizio militare. Una masnada di irregolari di tutta Europa che, per qualche ragione, non si era adattata alle leggi, e che andava in quel terreno franco, all’incrocio delle rotte di galeoni carichi di ricchezze».
I pirati analogici «vivevano di predazione e una sorta di forma repubblicana di auto-governo: eleggevano i capi, i loro erano comandanti revocabili e, se non reputati all’altezza, passibili di pena di morte, avevano una vita sessuale decisamente libertina. Ma la loro libertà era un’apparenza concessa: i pirati furono ampiamente manovrati dalla potenze, la comunità di Tortuga fu a servizio della Francia ma quando non servì più al Re fu rasa a zero, lo stesso accadde ai pirati della Giamaica a servizio dell’Inghilterra».

«I rapporti fra pirati erano frutto di relazioni gerarchiche, non tutti godevano degli stessi diritti (i mozzi erano le «donne di bordo»). Non bisogna farsi troppe illusioni sulle isole autonome, e questo vale per tutte le comunità che sembrano rette da democrazie…». È una evoluzione naturale «c’è stato un ‘68 anche in Giappone, breve ma intenso, successivamente i leader del movimento vennero cooptati dai governi, questo vale anche per la Rete: molti ribelli informatici sono cooptati dalle Corporation», è la logica dei rapporti di forza che Evangelisti vede, come sempre con ciniscmo e lucidità «un hacker moderno si ritiene libero e invece può essere funzionale alle multinazionali». Evangelisti continua nel parallelo pirati analogici-digitali «I pirati vivevano in un’area, il loro impiego andava a beneficio di uno e a danno di altri, allo stesso modo nella pirateria informatica non si è garantiti di essere liberi, perché il sistema fa parte di un’economia. Da quando esiste l’Indice dei titoli informatici, non si possono fare troppe battaglie contro…». La visione dell’autore rimanda quindi alle attuali questioni tra hacker, aperte da Phrack (l’autorevole e-zine), in cui la comunità dei Pirati informatici si interroga sull’attuale libertà della propria etica, ormai spesso al servizio delle multinazionali. «Sono rari i casi di hacker che riescono a violare siti governativi, o economici: l’ordinaria pirateria non sconvolge né la società né la rete, e abbiamo visto che, quando un governo vuole, riesce addirittura a bloccare il Web».
In Tortuga, immagini crude e scene di lotta senza pietà evocano le aspre guerre che, anche oggi, si combattono in tutto il mondo, seppur con tecniche/tecnologie differenti. Nel romanzo, le navi assaltate e gli equipaggi decimati non sono altro che emblemi colati a picco delle altre potenze in gioco. La storia di Evangelisti intreccia nomi ed eventi della grande Storia, attinge dati e simboli del periodo del Colonialismo, epoca di vantaggi commerciali strappati a forza - in economia, noti come logica della previous accumulation.
«La mia è una visione del mondo che parte dalla concezione homo homini lupus: la natura dell’uomo è l’animalità, il potere, o i personaggi con istinti totalitari, devono giustificare la propria condotta e allora ci costruiscono sopra un’ideologia», anch’essa da esportazione. «Gli –ismi servono a mantenere perenne ciò che è mutabile, è così che le ideologie pensano di incarnare la fine della storia: nei secoli, ognuno ha ritenuto di essere il coronamento di un’epoca, un’ideologia è automaticamente autoritaria, anche il liberalismo lo è nella misura in cui si considera come punto finale della contemporaneità. Invece il capitalismo di quest’anno è diverso da quello di 10 anni fa».
Dal traffico marittimo all’informatico, quale è il futuro del Web? «Una volta quasi tutto era gratuito, ora no, forse è un’evoluzione indispensabile propria allo spirito di frontiera dell’uomo, ciò che succederà forse sarà una nuova fase di Internet, una diversa sua modalità». Rischi e questioni che, oggi, più che mai sono aperte, acque che aspettano di essere regolamentate. «Le forze in campo oggi sono tante, ma non è venuta meno la logica delle grandi potenze, rispetto al passato è più palese il rapporto costi/benefici: si parte per una guerra predatoria ma ci si accorge che magari è costata troppo e allora si va verso la sconfitta economica più che militare, è successo all’Unione Sovietica con l’Afghanistan, accade ora agli Stati Uniti e al mondo occidentale: nel tempo l’istinto predatorio è rimasto: ciò che può trattenerlo è la fissazione di regole che viceversa, quando mancano, permettono ad alcuni di non stare ai patti, come dopo l’11 settembre». La situazione può cambiare attraverso un codice condiviso «gli -ismi non si sopprimono, si devono riequilibrare, a scala locale e internazionale, nel Web con la Netiquette (l’insieme delle regole di interazione tra utenti su Internet ndr)». Le Nazioni Unite «sono indebolite, va ripristinato l’quilibrio infranto che anche se in modo imperfetto garantisce un equilibrio in tutte le zone del mondo. Le battaglie si combattono con regole precise, così nella rete andrebbe diffusa una cultura dell’auto-regolamentazione».
Il senso ultimo dei pirati? «sono una forma di guerra e un’espressione dell’idea di conflitto, un caso particolare che la guerra, in generale, assume in un certo momento: la pirateria è una battaglia combattuta, un concetto non applicabile tanto alla pirateria informatica di basso livello quanto all’alto livello, che poi viene istituzionalizzato, o conviene a qualcuno: si nota chiaramente come le forme conflittuali che si sviluppano automaticamente nelle comunicazioni via rete scadano spesso nell’insulto: è una sindrome da «Isola dei famosi» tipica delle comunità chiuse dove si esasperano le concorrenze». Ciò accade perché «le community vaste si organizzano per tribù e nella grande dimensione sfugge il controllo, per me internet è positivo, ma ci sono dinamiche che vanno esplorate meglio: la psiche collettiva origina effetti imprevisti, che nel Web si concretizza in vantaggi economici. Così spesso le community fanno l’interesse di qualcuno che neanche si conosce». Per contro «i pirati erano consapevoli di fare gli interessi dei governi ed era un atteggiamento senza inutili infingimenti: festeggiavano il compleanno del re di Francia, combattevano una guerra per conto terzi, con una vita breve e trasgressiva, senza proporsi una ribellione aperta», ciò che li differenziava «era il cinismo estremo, più che la sola crudeltà: per loro tutto era denaro, una posizione paradossalmente più onesta», la posizione dell’autore prende così, in ultima analisi, anche il rapporto dell’uomo con l’autorità «Richelieu non era un cinico ma un uomo del Potere; anche Eymerich (il domenicano, personaggio della saga forse più conosciuta di Evangelisti ndr) è un idealista ma è comunque un uomo di potere, si ribella per imporre regole sue». Così è la coscienza delle regole e la loro conoscenza-applicabilità a fare la differenza «il mio rapporto con l’autorità è di insofferenza ma credo non si possa contestare un sistema da fuori: un eretico difficilmente può sfidare l’autorità, Eymerich agisce per conto e nome della Chiesa, ma ci riesce proprio perché si oppone all’interno di regole forti della stessa istituzione che le impone».
Tortuga di Valerio Evangelisti svela poi alcuni piccoli importanti dettagli della storia della Canaglia: anche La Bamba, che Ritchie Valens fece appena in tempo a rendere celebre negli anni ‘60, è una canzone pirata che viene da Veracruz, Messico: «i pirati la cantavano in modo lento (à la «Quindici uomini…e una cassa di rhum»). Si è scordato il lato musicale della pirateria, in cui si andava all’attacco facendo musica, suonando i tamburi e le spade, in modo rumoroso, anche quella era una forma di lotta trasgressiva». Tutte forme di guerriglia non convenzionale, «la bandiera pirata, la Jolie rouge, la Bella rossa, che poi diventò nera - il Jolly Roger – che serviva a mettere paura: il teschio con le tibie incrociate che ogni capitano adattava a sé, segno e simbolo del messaggio ai nemici (i Fratelli della Costa avevano il teschio con la clessidra, diceva: «il vostro Tempo è finito»).

tratto da http://maurogarofalo.nova100.ilsole24ore.com/2008/10/la-tortuga-di-e.html

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